Il 18 settembre è tornata la Summer School 2019, quest’anno dedicata alle professioni del welfare. Figure a metà fra tradizione e innovazione.
Come l’anno scorso, l’appuntamento per i protagonisti dei 37 progetti del bando Welfare in azione di Fondazione Cariplo, era al Teatro La Cucina, l’ex mensa dell’Ospedale Psichiatrico Gaetano Pini, che oggi è un suggestivo spazio restituito alla comunità.
Al centro della sala, dove una volta mangiavano medici e infermieri, due panchine rivolte verso il pubblico. Sulle panchine, Stefano Laffi (Codici) ed Ennio Ripamonti (Istituto Italiano di Valutazione), referenti per le comunità di pratiche del bando Welfare in azione, hanno dato vita a tre sessioni di dialoghi.
La prima con gli operatori di comunità, la seconda con operatori sociali e la terza con altre figure innovative e sperimentali del welfare. Ogni persona che si è seduta su una delle panchine ha provato a raccontare il suo lavoro, quali le competenze necessarie per svolgerlo, e il percorso professionale per raggiungerlo. Sono stati raccontati “il cambiamento di pelle” degli operatori sociali “tradizionali” e le nuove figure professionali .
Prima sessione di dialoghi con gli operatori di comunità
Gli operatori e le operatrici di comunità sono quelle persone che partono dai quartieri, si riuniscono intorno a un tema condiviso, e si muovono su scala comunitaria. Lo fanno lavorando coi gruppi, tenendo laboratori, dialogando con le singole persone.
Alessia Comugnaga è una facilitatrice di comunità per il progetto #genera_azioni. Il facilitatore nasce per favorire le relazioni, il suo lavoro è trovare connessione tra i bisogni delle persone e ciò che offre il territorio. Per un facilitatore è importante sapere ascoltare senza giudizio, sapere creare relazioni tra le persone, attivare i cittadini dandogli valore, cercare di “connettere” le persone tra loro creando collaborazioni che non ci sono state prima. Laureata in beni culturali, ha iniziato a condurre laboratori nelle scuole, poi è arrivata in questo mondo un po’ per caso. Quando le chiedono quale sia la sua professione, prima si presenta con il suo nome e poi spiega cosa è possibile fare insieme.
Le mie giornate non possono essere uguali, così come non lo sono le relazioni.
Paolo Granetto è un animatore di comunità per il progetto Family Like, si occupa dei laboratori di interesse nati per stimolare la costruzione di gruppi di lavoro intorno a un interesse o un bisogno. Per essere un animatore di comunità è importante essere curiosi, essere in grado di meravigliarsi, pensare che dietro un problema ci sia una possibilità, anche quando non ci sono le risorse economiche. Perché proprio quando mancano le risorse entra in gioco la fantasia e la creatività. Paolo è un pedagogista formato sullo sviluppo di comunità. Non si è mai presentato dicendo di essere un animatore di comunità. Per molti è la persona che sa come valorizzare le competenze di ogni persona che si avvicina al progetto.
È interessante quando si parte da zero perché le storie prendono percorsi non immaginabili.
Veronica Sorato è un’assistente sociale di comunità del progetto YouthLab, il suo compito è creare un territorio che sappia riconoscere le competenze dei giovani. Si interfaccia con le amministrazioni chiedendo loro di provare a vedere i giovani non come utenti ma come protagonisti nel pensare le politiche giovanili. È fondamentale sapere creare fiducia, costruire un dialogo che diventi un viaggio condiviso. A volte è necessario mediare i rapporti e il conflitto generazionale rimanendo su un dialogo positivo.
Ognuno mette quello che può. I giovani bisogna saperli accompagnare in entrata e anche in uscita.
Arianna Plebani è una welfare community manager del progetto Valoriamo, il suo compito è accompagnare il corporate manager nella stesura del piano di welfare aziendale e incontrare i lavoratori per spiegare loro cosa sia il welfare aziendale inclusivo e a km 0. Deve mediare tra mondi diversissimi, quello delle cooperative sociali, degli enti locali e delle aziende. Alle cooperative sociali cerca di fare capire che è possibile offrire alle persone dei servizi che non siano solo servizi sociali. Arianna è una progettista per il no-profit, e per essere una brava welfare community manager serve formazione continua, ricerca e confronto.
Con il mio lavoro le realtà no profit si mettono in discussione e creano nuovi scenari.
Seconda sessione di dialoghi con gli operatori sociali
Gli operatori e le operatrici sociali, invece, sono coloro che partono da un caso, da singole persone, ma lavorano nella comunità per cercare di risolvere le loro difficoltà.
Elisabetta della Vigna è una educatrice del progetto Fare #BeneComune. Lavora in un Centro di aggregazione giovanile e prova a fare rete con le altre realtà del quartiere. Da educatrice parte dai ragazzi per arrivare agli adulti. Si occupa di tenere aperto il centro tutte le mattine, mentre prima era uno spazio dove i ragazzi del quartiere si incontravano occasionalmente il sabato e qualche sera alla settimana.
Grazie alla vetrata che dà sulla strada abbiamo intercettato i neet e alcune mamme straniere alle quali abbiamo offerto un corso d’italiano e un servizio di babysitting.
Giovanni Caimi è il coordinatore del servizio Emporio della solidarietà del progetto #VAI, un piccolo negozietto dove le persone segnalate dai servizi del territorio e dagli sportelli Caritas vengono a fare la spesa. Si occupa di gestire la logistica: aperture, acquisti, scadenze, collette di beni per il negozio. Bisogna avere una propensione all’accoglienza, perché chi entra non deve sentirsi giudicato ma coinvolto. E infatti molte persone che fanno la spesa all’Emporio sono diventate volontari e si occupano di lavori di manutenzione o dell’apertura del sabato.
Avevamo un software per gestire il negozio, controllare i dati e i numeri. Poi ci siamo detti che non dovevamo controllare nessuno, ma confrontarci con tutti.
Claudia Bosso è network manager su una delle otto aggregazioni territoriali dove è attivo il progetto La Cura è di Casa. Il suo compito è coordinare e supervisionare i servizi che sono nati sul territorio. Riceve le segnalazioni di possibili anziani vulnerabili, coordina e gestisce le richieste di assistenza, pianifica l’erogazione dei servizi sulla base delle proposte fatte dai Care Planner, con cui lavora in sinergia. Capacità organizzativa, predisposizione a lavorare in team e competenze gestionali sono tre elementi fondamentali per svolgere il ruolo di network manager.
Abbiamo una piattaforma informatica in cui inseriamo le valutazioni e gli interventi fatti dagli operatori e dai volontari, per avere un quadro in tempo reale.
Terza sessione con le altre figure del welfare
Tra le altre figure professionali anche gli attivisti del territorio e professioni inedite.
Antonio Serra è il coordinatore del tavolo Lab Cittadinanza Attiva del progetto Tikitaka. Il suo lavoro è rendere le comunità più accoglienti e inclusive nei confronti della diversità. Antonio insieme ai suoi colleghi arriva sempre prima dell’inizio del tavoli, per curare molto il setting. Se l’aula in cui ci si ritrova ha una disposizione circolare, pensata senza gerarchie, allora tutte le persone si sentono di avere lo stesso valore e vogliono essere parte attiva. Per lui riuscire a creare l’ambiente giusto è molto importante, forse anche per questo prima di raccontare il suo lavoro, decide di recitare una poesia di Franco Arminio.
Di solito si dice che dopo un po’ di anni c’è bisogno di cambiare. Io mi sento fortunato perché lavoro da 20 anni nello stesso centro e ancora non sono stanco.
Luca Boccanegra, è un operatore ESP (Esperto Supporto tra Pari) all’interno del progetto Amicittà. L’ESP è una persona che conoscendo in prima persona il disagio mentale riesce ad aiutare coloro che iniziano un percorso di salute mentale. Fa parte della cooperativa COLCE grazie alla quale ha potuto realizzare diversi progetti fra cui una radio web per il sociale e la salute mentale. Luca racconta del programma il Canguro, un programma musicale in cui si salta da un genere all’altro e da una generazione all’altra.
Io nella vita ho avuto tutto, sono stato fortunato. Ma sono sempre stati sogni molto egoistici. Adesso mi trovo a fare qualcosa per gli altri e questo mi rende felice.
Mario Fanti è un ingegnere dell’automazione - responsabile tecnico settore di produzione coop B, lavora con il progetto Sbrighes. Laureato in ingegneria, costruiva robot per avvitare i tappi delle bottiglie ma non amava lo stile di vita che conduceva. Adesso è il responsabile del Co-factoring, un’ex scuola rigenerata dove si occupa di attività legate alla domotica e alla robotica. Il suo lavoro consiste nel far avvicinare i ragazzi al mondo del lavoro, cercando di valorizzare al massimo le loro competenze, oltre ad accompagnarli nelle diverse fasi formative.
Negli anni il mio inquadramento da ingegnere è passato da essere quadrato a tondo. Senza i miei colleghi educatori il mio lavoro non avrebbe senso.
Gaia Sanzogni è una coach per azione di alternanza scuola lavoro, del progetto Segni di Futuro. Il coach “allena” i ragazzi alla presa di coscienza delle proprie competenze, dei propri punti di forza e di debolezza per colmare la distanza tra mondo del lavoro e scuola. Il coach si colloca tra tutor scolastico e tutor aziendale per affiancare individualmente i singoli ragazzi. Educatrice e psicologa, lavora nel sociale da 13 anni, in passato ha lavorato con i NEET. Nel suo lavoro il linguaggio è importante per questo insegna ai ragazzi a raccontarsi e a imparare a interrogarsi sulle cose che per loro contano realmente nella vita. Si occupa anche di parlare con le aziende che possono aprire le porte a questi ragazzi e offrire loro un’esperienza di formazione.
Mi piace chiamarmi coach perché è traducibile facilmente in allenatore. I ragazzi capiscono subito che è qualcosa di nuovo e che non si sovrappone al tutor.
Federica Pilla è referente attività di corporate fundraising, Milano 2035 si occupa di stimolare le aziende a collaborare con il terzo settore. Psicologa, ha poi conseguito un master sul no profit, non credeva si sarebbe mai occupata di fundraising. Si è dedicata prima alla scrittura del progetto e poi è entrata nel gruppo che si occupava di raccolta fondi per la curiosità di vedere se questo ruolo poteva avere senso per la sua associazione. Quando le è stato chiesto di occuparsi di tale attività ha deciso di accettare. Cerca di contattare le aziende. È partita dai contatti dei partner della rete, ora cerca sempre un contatto che sia di CSR o di comunicazione e marketing.
Ho imparato che le mail devono essere brevi, che bisogna giocarsi subito il contatto importante e che è fondamentale incontrarsi per parlarne.
A intervellare i dialoghi, durante la giornata, si è svolta la Biblioteca vivente, un format nato come esperienza di dialogo interculturale per poter conoscere realtà di vita diverse dalla propria. La Biblioteca vivente funziona come qualsiasi biblioteca: ci sono dei libri da leggere e ci sono lettori. Solo che i libri sono persone da ascoltare. I libri da leggere sono stati Michela Oleotti community maker per Fare Legami, Tiziana Mannello psicologa dello sviluppo e dell’educazione per COnTatto, Alessandro Belotti manager di comunità-community maker per Oltre i Perimetri, Simona Lucchini educatrice professionale per Sbrighes, Pietro Tallerico fundraiser per Mano a Mano.
Per circa un’ora, Michela, Tiziana, Alessandro, Simona e Pietro, hanno raccontato, a un gruppo composto da 25 persone, nel modo che ritenevano più opportuno, i diversi “capitoli” della propria esperienza professionale, rispondendo infine alle loro domande.
Ogni libro vivente aveva l’obiettivo di trasmettere al suo pubblico il processo di cambiamento che si era realizzato nel tempo, e per questo ha provato a fare un racconto lungo, a tappe, per descrivere il contesto in cui si era immaginato il cambiamento, il momento in cui il cambiamento aveva preso forma e il processo di trasformazione del contesto e del proprio modo di agire. E infine uno sguardo indietro per raccogliere gli insegnamenti, e uno in avanti per tracciare gli obiettivi futuri.
“Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione. Attenzione a chi cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.” recita la poesia di Franco Arminio portata da Antonio Serra durante uno dei dialoghi.
Una poesia letta non per essere imparata a memoria ma per predisporre all’ascolto e all’attenzione per l’altro.
Un’altra summer school di Welfare in Azione in cui nessuno è salito cattedra e tutti hanno imparato moltissimo.