Il 18 e 19 novembre è tornata la scuola di Welfare in Azione, in versione autunnale, quest’anno dedicata al welfare che verrà.
Una versione allargata della Summer school, aperta non solo ai 37 progetti del bando Welfare in Azione di Fondazione Cariplo ma anche alle Fondazioni di comunità, alle reti di QuBì e Doniamo Energia, ossia i principali attori attualmente impegnati nei programmi della Fondazione sul lavoro di contrasto alla povertà e vulnerabilità ma anche sul tema dell’innovazione e del rilancio di nuove forme di welfare.
In via del tutto sperimentale si è svolta in remoto per via dell’emergenza sanitaria ancora in corso. Più di 220 persone collegate dalle proprie case, dai propri territori, desiderose di provare a interpretare questa stagione così complicata che da un giorno all’altro ci ha tolto la dimensione collettiva, ma che è anche un importante esercizio di innovazione.
Due giorni di condivisione, riflessioni e apprendimenti molto partecipata, aperta da Beatrice Fassati, coordinatrice del programma Welfare in azione.
Oggi è importante essere qui perché i territori non si sentano soli e per provare insieme a rimetterci in moto. Una crisi non si affronta solo elaborando risposte tempestive ma occorre darsi strumenti di conoscenza e di riflessione collettiva capaci di orientare le scelte strategiche, a partire dalla condivisione di un racconto coerente di quello che sta succedendo.
Ad aprire i lavori è stato Giovanni Fosti, presidente di Fondazione Cariplo che ha ricordato come il programma Welfare in azione sia il cuore della Fondazione perché nasce per innovare il sistema di welfare investendo sulla comunità. Il welfare, infatti, non interessa solo il terzo settore, non è qualcosa solo delle istituzioni, né della responsabilità sociale delle aziende, non è fatto solo di servizi: welfare significa prendersi cura.
Sta cambiando la cornice, ciò vale anche per il welfare: ecco perché in questo momento storico è fisiologico essere un po’ smarriti. Oggi dobbiamo rinunciare a delle certezze ma non ai nostri valori. Una comunità che si occupa delle persone più fragili, è una comunità che sa crescere.
La scuola ha poi avuto inizio con un webinar pubblico e aperto di restituzione delle analisi e delle ricerche a cura di Massimo Conte, presidente di Codici e Cecilia Guidetti, ricercatrice di Lombardia Sociale.
Oggi abbiamo deciso di restituire del materiale prezioso e luminoso, che nasce dall’apprendimento.
Le analisi presentate da Massimo Conte hanno provato ad analizzare il contesto e a rispondere a due domande. In che modo il bando Welfare in azione ha aiutato la comunità a fronteggiare l’emergenza Covid-19? E in che modo l’emergenza Covid-19 ha portato i progetti e le organizzazioni sostenute dal bando Welfare in azione a cambiare?
Oggi sto provando un forte senso di responsabilità che mi emoziona perché stiamo affrontando un tema che ha toccato la vita di ognuno di noi. Abbiamo deciso di dedicare la scuola all’emergenza Covid-19, perché la pandemia è un evento spartiacque che ci costringe a essere da un lato testimoni di quello che ci è capitato, dall’altro di dare conto di quello che è successo, comprenderlo, per essere preparati a capire quello che succederà.
Il Covid-19 ha segnato profondamente questo 2020. Lo ha fatto nelle vite delle persone, generando lutti, reclusione volontaria e imposta, facendo crescere la nostra vulnerabilità. Lo ha fatto nelle vite delle organizzazioni, creando vuoti, immettendo elementi di crisi, costringendo a processi decisionali in un clima di grande incertezza. Lo ha fatto nei progetti, bloccando processi, costringendo a riattivarsi, spingendo a domandarsi come agire per fare la propria parte.
È stata una grande occasione di autobiografia collettiva, perché è stato un evento di rottura biografica delle persone, delle organizzazioni, dei territori. È stato un esercizio di innovazione forzata.
L’impatto di questa malattia ha messo in luce le diseguaglianze. Si sono creati nuovi profili di esclusione: avere o non avere lo smartphone o il pc, saperlo usare o no, hanno fatto la differenza. Ci sono persone che pensavano di avere raggiunto un equilibrio e hanno scoperto quanto fosse precario quell’equilibrio.
Una delle parole di riferimento è resilienza, una parola che nasce nel campo della tecnologia dei materiali che indica la capacità di resistenza alla rottura dovuta a urti, ma anche la capacità del materiale di riprendere la propria forma dopo la deformazione dovuta all’urto. L’impressione è che tutti i progetti e i territori che si sono misurati con l’emergenza sanitaria, siano stati anche capaci di accettare la deformazione subita e di trasformarla in un’occasione di ripensamento e di ridefinizione di sé. È possibile guardare ai processi di welfare comunitario non come materiali solidi di cui verificare il punto di rottura, ma di vederli come sostanze fluide, capaci di mutare il proprio stato. Come per i fluidi, anche per i processi di welfare comunitario innescati dai progetti ci sono state deformazioni elastiche, destinate a scomparire una volta che l’emergenza sarà superata, e deformazioni plastiche, destinate a diventare permanenti anche perché saranno cambiati i contesti di riferimento.
Ma l’urto non è stato uguale per tutti.
Pensiamo ai territori della Bergamasca o del Lodigiano colpiti così duramente dalla malattia, è il caso di Invecchiando si impara, di Distanze ravvicinate o di Mano a mano. Pensiamo ai progetti che si rivolgono a persone che sono state particolarmente vulnerabili alla malattia, con la fatica di trovare il modo giusto per proteggere e tutelare, ma anche di elaborare i lutti che ci sono stati: Invecchiando s’impara, Tikitaka, aMIcittà, Recovery.Net.
Quasi tutti i progetti hanno avuto la possibilità di portare in dote ai territori operatività, reti, competenze coltivate prima dell’emergenza. L’abitudine consolidata ad aprirsi agli attori del territorio e a lavorare in rete ha consentito che venissero alimentate le collaborazioni e a raccogliere nuovi volontari.
Ci sono stati casi in cui alcune azioni in corso sono state messe a disposizione. Come Generazione Boomerang con l’impiego dell’App nella raccolta dei volontari, Fare #BeneComune nella messa a disposizione dei Laboratori di prossimità per il contatto con le persone o nel sostegno alla didattica a distanza, Valoriamo per la connessione tra aziende e cooperative di tipo B nella produzione di servizi di sanificazione.
Per alcuni progetti, per i quali le priorità del territorio e degli Enti portavano lontano dai propri obiettivi, è stato necessario riconfigurare i dispositivi progettuali e costruire le condizioni necessarie a dare il proprio contributo. Esempio di questa capacità proattiva è il modo in cui ConTatto ha messo a disposizione le proprie competenze sulla mediazione dei conflitti per intervenire nella didattica a distanza e nella gestione delle dinamiche tra insegnanti e studenti; così come nell’utilizzo dei Corpi intermedi per svolgere un ruolo a cavallo tra antenne territoriali delle situazioni di fragilità. Oppure, il modo in cui Legami Leali ha messo a disposizione lo strumento dei Patti di collaborazione per coordinare e per organizzare gli interventi di assistenza alle persone in difficoltà nel territorio del Garda. O ancora, nel modo in cui Mano a mano ha messo a disposizione la propria rete territoriale per rafforzare l’assortimento del Centro di Raccolta solidale. O ancora, nel modo in cui Tam Tam ha messo a disposizione del territorio una linea telefonica per affrontare insieme le urgenze e assistere chi si è trovato a vivere una condizione di forte vulnerabilità.
Ci sono stati progetti che hanno utilizzato la sospensione di una parte della propria operatività per mettere a frutto questo tempo come un tempo dedicato alla riflessione. Come ha fatto Milano2035 con la ricerca sull’abitare al tempo del Covid, condotta con l’Università di Milano Bicocca; e aMIcittà che ha partecipato a una ricerca nazionale sugli Educatori nel Supporto tra Pari.
Per altri ancora, in particolare Mano a mano, Fare Bene Comune, Legami Leali, aMIcittà, questo è stato anche il momento per mettere a disposizione del territorio le competenze e gli strumenti legati al fundraising. È interessante vedere come la buona causa fosse immediatamente definita dalla situazione in atto e fosse molto concreta: la raccolta di tablet per la didattica a distanza, il cibo per il Centro di raccolta solidale, l’acquisto di dispositivi di protezione. Un movimento molto interessante è quello che ha portato alcune figure chiave dei progetti a lanciare campagne di personal fundraising, come è successo con Milano 2035 e con Recovery.Net.
Abbiamo toccato con mano che il fundraising è cura del legame sociale, l’importanza del dono come possibilità di alimentare la reciprocità e prossimità, per creare comunità dove c’è più rischio di dispersione. In sintesi, il dono come grande leva di cambiamento per una società più giusta.
Cecilia Guidetti, ricercatrice di Lombardia sociale, ha poi presentato una ricerca sull’eredità dei progetti di Welfare in Azione.
Mentre la ricerca era in pieno svolgimento, ci si è trovati nel pieno dell’emergenza Covid-19 ed è quindi essa stessa stata ripensata e integrata, nella logica di rispondere a quanto i patrimoni lasciati nei progetti di Welfare in Azione fossero un valore nel fronteggiare l’emergenza.
Oggi, in questa situazione di incertezza, si può ancora parlare di welfare comunitario e metterlo al centro delle politiche territoriali? Qual è il valore che è stato generato e va difeso?
Di fatto, si è evidenziata una difficoltà “intrinseca” alle premesse stesse costitutive dei progetti di Welfare in azione: lavorare a favore di un welfare comunitario in un momento in cui è venuta a mancare la dimensione collettiva, le relazioni da risorsa sono diventate una potenziale minaccia, con la conseguente perdita dei luoghi del welfare, tutto questo ha costituito un significativo ostacolo.
Allo stesso tempo, l’emergenza e il lockdown sono stati la cartina tornasole per capire cosa è rimasto di solido sui territori, in grado di dare un supporto nel fronteggiare questa situazione complessa e quindi è stato un momento di conferme rispetto alla direzione intrapresa. Infatti i temi sui quali molti progetti hanno lavorato sono oggi più attuali che mai, come quello della vulnerabilità. E’ stato inoltre un momento di grande attivismo e nei territori, c’è stato un rafforzamento dell’identità comunitaria e la prossimità e il protagonismo dei cittadini hanno fatto la differenza, diventando più attuali; si sono mobilitate associazioni, gruppi informali e singole persone, ingaggiate nel realizzare attività e interventi di supporto su base volontaria a favore di chi si trovava in condizione di bisogno: raccolta e distribuzione di beni di prima necessità, disbrigo di piccole commissioni per chi si trovava in isolamento domiciliare o impossibilitato a uscire di casa. I territori di Welfare in Azione sono stati pronti a canalizzare le risorse in un sistema pensato e organizzato di risposta, che forse un tempo avrebbe rischiato di essere dispersivo e frammentato.
Oggi ci sono nuove competenze a servizio del welfare. Sono tante le persone che si sono messe a disposizione e che si occupano di mediazione, giustizia riparativa, educazione finanziaria e che sono pronte a restare o a rigiocarsi in una nuova prospettiva. Il linguaggio “comunitario”, parole come legami e prossimità sono entrate nel linguaggio comune, anche nei dibattiti televisivi: questa può essere vista come un’opportunità per rendere il welfare di comunità più visibile e riconoscibile.
Tuttavia il pericolo in questo momento, è che i sistemi di welfare rischino di entrare essi stessi in crisi, dopo questi anni di apertura e di pensiero, ritornando a funzionare secondo logiche erogative e prestative individuali che enfatizzano approcci prettamente assistenziali. Ecco perché una delle sfide di oggi è mantenere in equilibrio la velocità e la flessibilità nel leggere il bisogno e nell’organizzare le risposte con la capacità di allargare la base decisionale, mantenendo governance aperte e partecipate, orientate a sostenere e valorizzare l’attivazione delle persone tenendo in agenda azioni di tipo promozionale e preventivoUn’altra sfida, collegata, è quella, soprattutto oggi, di continuare a ricomporre la visione della dimensione tecnica con quella della dimensione politica, rendendo visibile e riconoscibile il valore prodotto dal welfare comunitario, e tenendo sempre agganciati gli amministratori e i decisori pubblici.
È più chiaro che il welfare non è un pezzo residuale per persone residuali: la crisi sanitaria ha messo tutti davanti al fatto che il welfare è uno strumento a disposizione di tutti e che tutti possono averne bisogno.
Il webinar si è concluso con un auspicio di Katarina Wahlberg del team Welfare in Azione, sul futuro del welfare comunitario. Un cambio di prospettiva ambizioso ma possibile, perché sono in atto cambiamenti profondi.
Forse è il momento di ribaltare i nostri timori e invece di arretrare dovremmo avanzare portando avanti valori, pratiche, nuovi modi di fare. Se sapremo raccontarci ai non addetti ai lavori, all’opinione pubblica e ai policy maker riusciremo a fare avere più spazio e risorse a questo modo di fare welfare. Sarebbe bello domani poter chiamare in modo diverso quello che facciamo: da servizi alla persona a servizi alla comunità.
Una scuola a distanza con approfondimenti, dialoghi, interventi che ha saputo trasmettere tutto l’orgoglio di fare parte della classe 2020.