Negli articoli “Autumn school 2020, il welfare che verrà” e “Giovanni Fosti: welfare è prendersi cura” , abbiamo raccontato la prima parte della scuola di Welfare in Azione, quest’anno dedicata al futuro del welfare comunitario.
Due giorni di condivisione, riflessioni e apprendimenti, svolti in via del tutto sperimentale in remoto, con momenti in plenaria e altri di confronto più ristretti, su temi che la pandemia ha reso ancora più rilevanti e urgenti, quali il lavoro coi soggetti vulnerabili, la governance e le reti partecipative, le relazioni digitali, il rapporto con il mondo socio-sanitario, il volontariato e l’attivismo.
La scuola si è aperta con il webinar di restituzione delle analisi e delle ricerche a cura di Massimo Conte, presidente di Codici e Cecilia Guidetti, ricercatrice di Lombardia Sociale sui cambiamenti che hanno interessato le organizzazioni sostenute dal bando Welfare in azione e sull’eredità lasciata sui territori, ed è proseguita con il seminario tematico “Il lavoro coi soggetti vulnerabili, tra misure emergenziali e approcci generativi”, che ha lasciato spazio alle testimonianze e alle storie di quattro progetti impegnati nell’affrontare il tema della vulnerabilità: Più segni positivi, #Vai, Distanze Ravvicinate, Fare #BeneComune.
Più Segni Positivi è un progetto che ha saputo lavorare su vulnerabilità e povertà tirando fuori le risorse positive della comunità e che è diventato fonte di ispirazione per altre realtà dentro e fuori il territorio valtellinese. Massimo Bevilacqua, presidente Consorzio Sol.co., ha raccontato come nel corso degli anni il progetto abbia ripensato il tema delle vulnerabilità.
La sfida del progetto, nella fase iniziale, era rispondere ai bisogni di quella “fascia grigia” di popolazione che si colloca tra il ceto medio e la povertà conclamata, una tipologia di soggetti che difficilmente avanza la richiesta di aiuti, alimentari e non solo. In fase di attuazione, il progetto ha scelto di cambiare camaleonticamente sulla base di quello che aveva imparato. La scelta è stata quella di passare a una versione “diffusa” dell’Emporio, che ha consentito di intercettare molte più famiglie, che non venivano raggiunte con l’Emporio “beni materiali”, tramite strumenti come i voucher per i prodotti scolastici e farmaceutici.
Più Segni Positivi, pensato non tanto come un progetto, ma come un programma territoriale di welfare di comunità, ha prestato fin dal principio grande attenzione al tema del linguaggio.
È stata costruita una sorta di “blacklist” di parole da non usare come povertà o svantaggio, per accordare invece la preferenza a parole positive. Questa scelta è stata capita e condivisa dal territorio, ed è stata produttiva di legami, relazioni, nuove progettualità.
Quando è esplosa l’emergenza Covid, Piu segni positivi ha avuto la possibilità di raccogliere, con rapidità, 100 tablet da donare alle scuole, grazie all’attivazione dei legami ma anche alla reputazione del brand costruita nel corso degli anni.
Il progetto #Vai è una sperimentazione di welfare comunitario nell'ambito territoriale del garbagnatese che ha puntato sull'economia sostenibile, la rigenerazione dei legami e sulla prevenzione e il supporto alle vulnerabilità crescenti.
Oliviero Motta, presidente della cooperativa sociale Intrecci, racconta di come l’Emporio solidale di Garbagnate Milanese, un vero e proprio minimarket pensato per essere un luogo non stigmatizzante, sia stato durante l’emergenza Covid un punto di forza, ma anche una trappola. La spinta a rispondere a un bisogno molto concreto, legato ai bisogni alimentari, ha fatto sì che l’Emporio subisse una pressione molto forte. L’Emporio si è trovato a erogare beni di prima necessità senza riuscire a offrire altri strumenti di accompagnamento.
Con l’emergenza Covid, molte famiglie si sarebbero accontentate dei bonus, senza rientrare in una progettualità più complessiva.
Questa situazione ha però favorito la maturazione del ruolo degli operatori, che in maniera inaspettata si sono trovati a svolgere un ruolo di vera e propria intermediazione con le famiglie affinché potessero accedere a delle opportunità. Si trattava di famiglie impreparate a investire su una loro progettualità; gli operatori hanno quindi dovuto lavorare anche in direzione di una riattivazione della fiducia nel futuro.
Accorciare le distanze relazionali è l’obiettivo di Distanze Ravvicinate, che fra le contrade della Valle Imagna e i quartieri dell'Oltre Brembo prova a costruire un nuovo modello di welfare familiare e comunitario.
A Bergamo la pandemia ha avuto un effetto travolgente, ha prodotto diecimila morti, ha colpito in maniera forte le energie del territorio. Oggi, a nove mesi dall’inizio dell’emergenza, il progetto che si occupa delle fragilità delle persone con disabilità, degli anziani, dei soggetti economicamente fragili, è riuscito a ripartire, ma quello che è successo ha reso necessaria una nuova visione.
La pandemia ha consentito di mettere meglio a fuoco il progetto, a evitare i sofismi, e concentrarsi su questioni concrete. La sensazione è che prima molti ragionamenti fossero poco ancorati alla realtà.
Nel corso dell’estate, le diverse comunità del territorio hanno dato vita a una trentina di iniziative rivolte ai minori che sono state pensate e gestite dai cittadini, dalle parrocchie, dalle cooperative e associazioni locali. L’emergenza ha anche spinto a creare maggiori connessioni con le famiglie. Il progetto ha realizzato un questionario, a cui hanno risposto mille persone, un grosso riscontro che ha mostrato delle potenzialità di intervento che in fase pre-pandemia non erano state individuate. Ora è in fase di costruzione un’anagrafe delle fragilità rivolto ad anziani e a persone in condizioni di vulnerabilità socioeconomica ed isolamento sociale esito di un processo di relazioni costruite sul territorio che ha permesso di unire gli sguardi, le informazioni e i dati di numerosi soggetti del pubblico e del privato sociale, attraverso il quale il progetto è arrivato a una migliore conoscenza e profilazione dei soggetti intercettati.
Fare #BeneComune è un progetto nato con l’obiettivo di rendere Pavia una città sempre più “family friendly” connettendo energie e risorse, rinsaldando legami e generando reti di mutualità tra famiglie.
Durante l’emergenza Covid, il progetto ha saputo rispondere alle difficoltà delle famiglie alle prese con la didattica a distanza dei loro figli.
Si è capito subito che tale difficoltà non riguardava solamente le famiglie “fragili”. C’è stata un’attivazione del privato sociale, degli assistenti sociali, dei docenti, di organizzazioni che non erano partner di progetto, ma erano uniti da un comune obiettivo.
La modalità a distanza ha consentito, paradossalmente, di entrare molto di più nelle famiglie, rispetto a quanto non avveniva precedentemente, per esempio, nella frequentazione del doposcuola degli stessi ragazzi. Così si è potuta costruire, in alcuni casi, la presa in carico complessiva del nucleo familiare.
Le testimonianze dei quattro progetti hanno dato avvio al lavoro dei sottogruppi, momenti di confronto, sempre sul tema della vulnerabilità, ai quali hanno partecipato più di 70 referenti, operatori e addetti ai lavori dei progetti di Welfare in azione. Tanti gli interventi e le esperienze a confronto che hanno consentito lo scambio di difficoltà affrontate e di sperimentazione di soluzioni virtuose, ragionando sull’individuazione e aggancio dei soggetti vulnerabili, sugli strumenti migliori per intercettarli, sulle nuove risorse che i progetti hanno scoperto e valorizzato durante l’emergenza Covid.
Il 19 novembre è stata un’altra importante giornata di testimonianze dedicata a 4 temi: il volontariato e l’attivismo, le relazioni digitali, il rapporto con il mondo socio-sanitario, la governance e le reti partecipative.
Governance e reti partecipative
Sul fronte della Governance l’emergenza ha dimostrato l’importanza di mettere insieme persone e istituzioni intorno a uno scopo. Per Legami Leali, il progetto che nel territorio della costa gardesana bresciana costruisce esperienze condivise di cura della comunità, promuovendo il concetto di legalità, i patti di collaborazione fra amministrazioni, associazioni e liberi cittadini, erano uno strumento prezioso già nell’era pre-Covid, in quanto in grado di stimolare la partecipazione della comunità. Ma è nell’era Covid, che si sono rivelati capaci di attrarre idee e persone nuove e di valorizzare le energie di quei cittadini che vogliono essere parte della soluzione.
In futuro servirà dare sempre più spazio alla gestione dei conflitti, dare centralità alle vittime e alle persone offese, restituire loro la parola e la fiducia nel futuro. Come prova a fare ConTatto, che negli ambiti di Como e di Lomazzo-Fino Mornasco prova a farlo rimettendo al centro la comunità e i legami. Dall’ascolto delle persone coinvolte nel progetto, come gli insegnanti, le antenne, i corpi intermedi, gli operatori, gli autori di reato e i cittadini, durante l’emergenza sono emersi i vissuti e i conflitti “Ai tempi del Covid 19”, sia all’interno dei confini domestici che all’esterno.
Serviranno più spazi di pensiero aperti e plurali dove fare emergere bisogni e desideri della comunità e mettersi a disposizione degli altri. Come le Case per fare insieme di Texére, il progetto che nel Distretto 6, Pieve Emanuele e nel Distretto 7, Rozzano, della Città Metropolitana di Milano ha l’obiettivo di favorire la ritessitura di legami familiari e sociali.
Le relazioni digitali
Durante il primo lockdown, le uniche relazioni permesse sono state quelle virtuali. Da una parte si sono creati nuovi profili di esclusione, avere o non avere lo smartphone o il pc, saperlo usare o no, hanno fatto la differenza, dall’altra l’uso delle tecnologie ha permesso ai progetti di non interrompere i progetti e le relazioni, di fare nascere nuove iniziative e di intercettare persone anche al di fuori del proprio territorio di riferimento.
Mano a Mano, che nella provincia Lodigiana prova a innovare il sistema di accoglienza creando occasioni di incontro fra italiani e migranti, grazie all’utilizzo di una piattaforma, ha trasformato i Laboratori Sociali inLaboratori Digitali permettendo di continuare online il lavoro intrapreso in presenza. Ma non solo, perché questo strumento ha fatto nascere nuove iniziative promosse dal basso e dedicate all’integrazione, ha intercettato nuovi volontari e nuovi utenti, riuscendo ad andare oltre il territorio lodigiano.
AMicittà che a Milano lavora affinché le persone con disagio psichico possano realizzare il proprio progetto di vita nella comunità locale in cui abitano, dopo un primo momento di smarrimento, ha cercato gli strumenti per mantenere le relazioni. Un esempio è il tentativo di trasformare il pranzo in comune in un momento a distanza che veniva costruito durante tutta la settimana con le videochiamate per decidere il menù, preparare e mangiare insieme in videochiamata.
Il progetto Tiki Taka – Equiliberi di essere che nel distretto di Desio-Monza contribuisce a promuovere una visione inclusiva della disabilità ha deciso di affrontare l’emergenza con energia e fantasia aprendo uno spazio virtuale dove le persone con disabilità e le loro famiglie hanno condiviso l'autenticità e la bellezza della loro vita quotidiana, uscendo dall’isolamento e aiutando gli altri a farlo.
È stato stupefacente entrare nelle loro case, vedere loro e i loro genitori, le loro stanze, i loro animali. La loro quotidianità ha consentito di smontare pregiudizi e di mostrare le tante diversità della disabilità e dei loro contesti.
Rapporti ai confini: il mondo socio-sanitario
Il fatto di avere dei progetti avviati sul territorio, rivolti agli anziani, alle persone con disabilità e a quelle con disagio psichico, nel corso della pandemia, ha consentito di continuare a costruire risposte. La pandemia ha messo l’accento sulla dimensione della salute, mettendo in secondo piano le dimensioni della prossimità, della cura, della relazione, dimensioni su cui invece hanno continuato ad agire i progetti L-inc, Recovery.net e Invecchiando s’impara, anche assumendosi dei rischi condivisi da tutte le parti.
Il progetto L-inc, che nel territorio di Cinisello Balsamo, Bresso, Cormano e Cusano Milanino aiuta le persone con disabilità ad autodeterminarsi, racconta come durante l’emergenza sanitaria sia emersa ancora più chiaramente la differenza tra bisogno e desiderio. La soluzione comunitaria infatti mira alla soddisfazione dei bisogni di cura, ma spesso non sa tenere in conto dei desideri.
Perseguire i propri sogni significa rischiare. È importante che la persona con disabilità possa assumersi una quota di rischio perché questo significa aumentare le possibilità di riuscita. Significa, in ultima istanza, essere liberi.
Anche Recovery.net, il progetto che nelle province di Brescia e Mantova aiuta le persone con disagio psichico a trovare la propria strada fuori dall’istituzione psichiatrica, crede che il cambiamento si produca sempre assumendosi dei rischi.
Un “rischio positivo” che soprattutto durante l’emergenza sanitaria si sono assunti gli operatori che lavorano in psichiatria, nonostante in alcuni casi ciò significhi accollarsi nuove responsabilità nei confronti delle persone che vengono seguite.
Invecchiando s’impara, che negli ambiti di Seriate e di Grumello del Monte ha l’obiettivo di creare un territorio sempre più “anziano friendly” facendo leva sulla forza della comunità, è rimasto vicino agli anziani che durante quest’emergenza sono stati colpiti due volte, sia a livello sanitario che sociale. Il progetto ha visto operatori smettere di essere "lavoratori" e diventare amici, parenti, affetti.
Volontariato e attivismo
L’emergenza ha dimostrato che nella gestione delle urgenze servono anche fantasia e creatività; ha insegnato inoltre come il tempismo sia un elemento decisivo, ma il tempismo va coltivato, investendo costantemente sulle relazioni, anticipando scenari possibili, per non rimanere spiazzati e per diventare la risorsa inaspettata nell’imprevisto; ha fatto emergere un sommerso di volontariato giovanile alla ricerca di opportunità, come è accaduto per i progetti Milano2035, Segni di futuro e Tam Tam Tempi di comunità.
Durante il lockdown qualcosa è cambiato, ha osservato Milano 2035 il progetto che promuove un abitare di tipo collaborativo che si fonda anche sulle relazioni di vicinato. All’inizio dell’emergenza il progetto si è chiesto come potesse essere di supporto all’intera città e ha provato a ingaggiare la popolazione giovanile oltre il tema della casa predisponendo degli strumenti: fra questi il kit del volontariato contenente semplici regole per promuovere la solidarietà tra vicini di casa.
Durante il primo lockdown è stato più facile ingaggiare nuovi volontari disposti a mettersi in gioco che attivare volontariato da parte del tessuto delle associazioni e le limitazioni degli spostamenti hanno fatto crescere le relazioni di prossimità.
L’emergenza ha anche rotto gli schemi di potere, le routine di ruolo e ha consentito inedite alleanze intergenerazionali. Ilario Sabbadini, presidente dell’Azienda Territoriale per i Servizi alla Persona, capofila di Segni di futuro, il progetto per i ragazzi della Valle Camonica, racconta di un’esperienza che è riuscita a parlare a tre generazioni: i ragazzi, i bambini, le famiglie. Un doposcuola per bambini, tutto online, che ha coinvolto come volontari giovani, fra i 17 e i 25 anni, che si sono resi disponibili pur senza avere una specifica formazione in campo educativo.
Non abbiamo fatto leva sul tema delle competenze e sulla formazione specifica dei ragazzi ma sulla loro voglia di esserci, qui e ora.
Francesca Canazza, Project leader e Community Manager di Tam Tam Tempi di Comunità, il progetto che si occupa delle famiglie vulnerabili nei comuni del territorio di Morbegno, racconta di esperienze spontanee di volontariato nate per rispondere a diversi problemi in ambito familiare, dalla conciliazione alla difficoltà dei bambini in età scolare, che ha coinvolto le famiglie stesse.
La pandemia ha insegnato che il volontariato giovanile è volatile ma può raggiungere picchi impensabili, e sotto il lockdown ha mandato in crash il sistema che non riusciva ad offrire abbastanza opportunità di intervento. La sfida domani è quella di costruire un sistema che sappia cogliere questa disponibilità senza incorrere nell’iper-regolamentazione che rischierebbe di disincentivare forme di attivismo spontanee.
Ma le sfide di domani sono tante. Per questo serviranno più alleanze. Servirà essere in costante ascolto attivo. Servirà parlare in modo differente per riuscire a raggiungere sempre più persone.
Perché per scrivere la storia di un nuovo welfare comunitario, serviranno anche parole nuove.