La Bassa Bresciana è stato uno dei luoghi più colpiti dalla pandemia, soprattutto durante il primo lockdown della primavera 2020. Un territorio dove ben prima del Covid-19, ancora per gli strascichi della crisi economica del 2009, erano presenti diffuse situazioni di fragilità e vulnerabilità economica e sociale che oggi gli effetti della pandemia rischiano di aggravare.
Dal 2016, però qualcosa è cambiato, con l’innestarsi nel territorio del progetto #genera_azioni, sostenuto dalla II edizione del Bando Welfare in Azione di Fondazione Cariplo: un ampio intervento di sostegno alle situazioni di vulnerabilità che colpiscono le famiglie e gli adolescenti nei comuni di Montichiari (capofila del progetto e dell’Ambito Distrettuale), Acquafredda, Calcinato, Calvisano, Carpenedolo, Remedello, Visano, basato sull’idea che costruire relazioni, costruisce comunità.
Nato dalla collaborazione fra le 7 amministrazioni comunali e alcune realtà e del privato sociale (cooperative sociali La Sorgente, Nuvola, Viridiana, La Vela oltre a consorzio Tenda e associazione Ama) e soprattutto dalla consapevolezza che la crisi che il territorio stava vivendo non fosse solo economica, ma di sistema
Erano molte le famiglie che vivevano situazioni di isolamento relazionale e c’era un forte disorientamento rispetto alla mappa dei servizi disponibili. In questo contesto si intravedevano però risorse, molto spesso informali, che andavano messe in rete e valorizzate per trasformarsi in leva di cambiamento
Per questo #genera_azioni ha puntato fin da subito alla promozione di un welfare spontaneo, creando risposte sperimentali che puntassero anche sul protagonismo e sulle relazioni per affrontare i temi del lavoro, della casa e in generale della vulnerabilità.
Le principali azioni messe in campo da #genera_azioni sono state: la creazione di 6 Punti di Comunità, gestiti da facilitatori per favorire lo scambio di proposte, idee e risposte costruite insieme ai cittadini e alle associazioni del territorio. Nel tempo sono stati realizzati 552 laboratori e raggiunte quasi 6.000 persone, di cui la metà in condizioni di vulnerabilità. Dopo il progetto, terminato nel settembre 2019, i Punti di Comunità sono rimasti aperti e integrati nella rete ordinaria dei servizi. E sono diventati luogo di incontro e scambio con altri progetti presenti sul territorio, come LAB’IMPACT – Progetto FAMI Regione Lombardia dedicato all’integrazione di stranieri e migranti), e con la Rete di contrasto alla violenza che nel novembre 2020 ha aperto presso uno dei punti uno sportello del Centro Antiviolenza territoriale.
Il progetto si è concentrato anche sui ragazzi e giovani. Sono state create attività dirette alla pre-adolescenza (medie) e ai primi anni di gioventù (fino 23-24 anni) che si sono dimostrate un’occasione di aggancio di situazioni di vulnerabilità anche adulta, e di collaborazioni stabili con reti istituzionali e non (scuole, associazioni sportive, biblioteche), anche grazie alla presenza dei facilitatori di comunità. Nei primi due anni, sono state coinvolte imprese e realtà del terzo settore locale, ed è stato realizzato un catalogo di postazioni per l’alternanza scuola lavoro, per permettere ai ragazzi di sperimentarsi e fare esperienza diretta “on the job”. Dal terzo anno, a seguito delle modifiche normative che hanno ridotto molto i tempi da dedicare all’alternanza per le scuole superiori non professionali, sono nati laboratori e progettualità di diversa natura, spesso disegnate insieme ai ragazzi stessi. Accanto a laboratori più ricreativi come la riqualifica di spazi con graffiti e la realizzazione di percorsi peer to peer – da ragazzi a ragazzi – sono stati avviati consigli comunali dei ragazzi in 3 comuni, promuovendo la partecipazione ed esperienza diretta di cittadinanza attiva.
Per quanto riguarda l’asse casa, è stato creato un piano integrato per dare risposte ai bisogni abitativi dei cittadini, in particolare residenti in quartieri fragili, che ha previsto risposte di supporto economico-tramite un apposito fondo di garanzia per rinegoziare affitti sul mercato privato e/o per creare le condizioni di accesso. E anche l’inserimento del “custode sociale”, ovvero una figura con competenze educative per lavorare sulle relazioni di buon vicinato e cura dei luoghi in alcuni complessi residenziali. Sono stati 4 i condomini diventati “sociali” grazie al progetto, un’esperienza che è continuata dopo l’intervento professionale del custode sociale, grazie all’individuazione di “custodi junior” tra gli abitanti: volontari che hanno assunto il ruolo di facilitatori nei loro contesti residenziali.
Un esempio è il condominio sociale di Calcinato, dove esistevano diverse situazioni di fragilità non intercettate e questo si rifletteva sull’intero sistema del condominio e del quartiere. La riqualificazione dell’abitare è partita dal coinvolgimento degli abitanti, per arginare le situazioni di fragilità e porre rimedio a quelle di emergenza. In una prima fase, il progetto si è appoggiato a un operatore che ha impostato il lavoro, ma che in seguito è stato affiancato da un giovane inquilino che, grazie al condominio, ha imparato un mestiere, basato sulla facilitazione dei rapporti tra i condomini e sulla soluzione dei piccoli problemi quotidiani. La condivisione ha generato anche tagli alle spese perché ha coinvolto gli inquilini nello svolgimento delle attività condominiali, come pulizie e piccoli lavoretti. Inoltre, nel condominio sociale è stato possibile conciliare domanda e offerta nel mondo del lavoro: alcune inquiline, disoccupate, sono state assunte dalla ditta di pulizie locali per lavorare proprio nell’edificio.
Il progetto ha realizzato diverse azioni anche sul fronte lavoro: oltre alla creazione di un fondo tirocini, sono stati ideati percorsi di “capacitazione” di gruppo dei destinatari. Una scelta che ha permesso la condivisione per i beneficiari, di una consapevolezza più profonda delle difficoltà e delle opportunità del cercare un lavoro. Ma anche, per gli operatori, la possibilità di poter osservare dal vivo anche competenze relazionali e trasversali che oggi sono sempre più ricercate e necessarie per la buona riuscita dei percorsi di inserimento. I numeri di cittadini seguiti nel triennio di progetto sono stati significativi: 397 le persone incontrate, 96 le persone inserite in un percorso occupazionale e 93 aziende coinvolte a vario titolo, dall’attivazione di un tirocinio, alla stipula di un contratto di assunzione, alla testimonianza all’’interno di un laboratorio o di un corso di formazione. Dalle sperimentazioni iniziali dei primi laboratori, si è man mano articolato e definito il percorso, che oggi è ancora in uso e a disposizione di nuovi target di cittadini, tra cui i beneficiari delle misure di reddito di cittadinanza.
Abbiamo chiesto a Elena Rocca, project manager di #genera_azioni di raccontarci il suo punto di vista sul progetto.
Prima dell’inizio del progetto, quali erano i problemi principali del vostro territorio ai quali volevate dare una risposta?
Quando #genera_azioni è nato, il nostro territorio scontava le profonde ferite economiche e produttive della crisi del 2009. Anche se il tasso di crescita demografica restava attivo, erano crollate le opportunità di lavoro e le fasce di popolazione che necessitavano un supporto erano ampie. La fatica, principalmente economica o professionale, per l’instabilità o la perdita del lavoro, aveva poi un impatto diretto sulle relazioni intra familiari, acuendo situazioni di fragilità e appesantendo i carichi di cura verso i figli. In molti casi, poi, sia per le migrazioni interne sia per i nuovi cittadini extraeuropei arrivati sul territorio proprio per il lavoro negli ultimi 15 anni, le reti a disposizione di questi nuclei familiari erano ridotte o assenti, causando un diffuso sentimento di isolamento. Ricordiamo bene anche le interviste o i dialoghi condivisi con i diversi attori del welfare locale in fase di progettazione: stanchezza, affanno e sensazione di dare sempre risposte parziali la facevano da padrone. Per questo, le nuove fasce in povertà economica ponevano un problema di tenuta dei servizi e sentivamo la necessità di ricomporre in maniera significativa gli interventi a sostegno delle persone, di connettere le diverse risposte che potevamo dare per sentirci tutti meno soli e più performanti. Le parole chiave del progetto sono state quindi: prossimità, ricomposizione, sperimentazione. E quindi: essere più prossimi ai bisogni emergenti, sperimentare risorse che andassero oltre interventi tradizionali e ricomporre le funzioni di governance delle politiche sociali del territorio.
E ora, 5 anni dopo, che cosa è cambiato grazie agli interventi?
La sperimentazione si è chiusa a settembre 2019, trasformandosi in parte integrante della rete dei servizi territoriali, sostenuta direttamente con le risorse dei nostri comuni. Da quel settembre e fino a dicembre 2020, era importante per #genera_azioni uscire dalla sua fase di “sperimentazione” e mettersi alla prova dei fatti integrandosi sempre più con il territorio, e così è stato. È arrivata però tragicamente la pandemia che ha messo alla prova il sistema: i punti di comunità hanno dovuto essere chiusi, i laboratori delle diverse aree di progetto, che per noi rappresentano il principale motore di aggancio e fidelizzazione dei beneficiari, sono stati sospesi.
A ricordarci, però, il nostro mantra “costruendo relazioni, si costruisce comunità”, sono stati i segnali, ancora una volta, dal territorio, le risposte informali attivate spontaneamente di fronte all’emergenza sono state significative e articolate. Dal supporto telefonico, ai laboratori on line per i ragazzi, a sperimentazioni più articolate di didattica inclusiva attrezzando in fretta e furia spazi per la DAD per i ragazzi che erano impossibilitati a fare da casa.
Tra tutte le innovazioni introdotte grazie al progetto, qual è stata la più significativa?
L’innovazione principale sta, forse, nel fatto che il progetto ha messo in luce in modo evidente che “insieme, è meglio”, perché #genera_azioni è un nuovo modo di intendere l’intervento sociale, che integra sguardi molto diversi: dai servizi sociali tradizionali, agli sguardi educativi di professionisti, dalla spontaneità delle associazioni alla voglia di dire la propria dei beneficiari.
Che cosa è accaduto che non era stato previsto? E che cosa il progetto non è riuscito a realizzare?
Non era stato previsto che sull’azione casa a fare davvero la differenza fossero i condomini sociali, più che l’aiuto affitti. Sull’area lavoro ci siamo accorti che più che una necessità di matching tra domanda e offerta, ci fosse il bisogno di accompagnamento e di fare gruppo, per sentirsi meno soli nella ricerca di una nuova occupazione o di un futuro professionale. E poi non ci immaginavamo nemmeno lontanamente la potenza d’aggancio che ha avuto sui giovani il progetto. E infine non ci aspettavamo che i punti di comunità diventassero sedi di altri servizi, come nel caso del centro antiviolenza. Per quanto riguarda invece gli aspetti non realizzati non ha funzionato la coabitazione tra giovani: avevamo trovato un appartamento dove potessero vivere insieme ragazzi giovani che diventassero volontari sentinella del progetto e non si è candidato nessuno. Anche sulla coabitazione tra persone fragili abbiamo realizzato meno esperienze di quelle che ci aspettavamo. Io credo che il motivo sia il fatto che si tratti di modelli che in città funzionano, ma che sul nostro territorio non hanno fascino.
Quali sono state le principali difficoltà?
Lavorare in rete e con la comunità richiede moltissime energie; continuare ad alimentarle, alternando momenti operativi con momenti di confronto e pensiero, spesso anche di sviluppo condiviso delle risposte è l’unico modo per farlo.
C’è una storia che più di ogni altra racconta la trasformazione che il progetto ha generato?
A inizio progetto avevamo destinato molti fondi per i tirocini all’interno delle aziende, ma quando il percorso di accompagnamento di gruppo ha preso piede abbiamo visto che, alla fine del percorso, c’erano più persone che avevano trovato lavoro in maniera autonoma rispetto a quelle che invece avevano bisogno del nostro supporto per essere inserite. Per noi ha significato che aveva funzionato la modalità del cercare lavoro con altri. In particolare penso ad alcune persone che avevano creato un gruppo whatsapp per restare in contatto e per condividere le offerte, e alcuni di loro sono riusciti a trovare lavoro grazie a questo scambio.
Che cosa resta sul territorio che prima non c’era?
I punti di comunità, il bagaglio prezioso dell’esperienza e le aumentate competenze di operatori e facilitatori. E poi il grande cambiamento nell’organizzazione dei servizi, non più in una logica di appalti ma con un bando aperto di co-progettazione, indetto dal comune di Montichiari per la gestione di tutti i servizi sociali per famiglie e minori. Una scelta amministrativa molto significativa, perché sono pochi i territori in cui esiste una co-progettazione così ampia.
Quali sono i progetti futuri a cui state pensando, innescati grazie anche all’esperienza e apprendimenti del progetto?
Come dicevo, sul territorio è nata una coprogettazione per la gestione di tutti i servizi sociali per famiglie con minori, che ci accompagnerà almeno per i prossimi 3 anni; L’ATI che si è aggiudicata la procedura è composta da cooperative sociali da tempo operanti sul tema e coinvolte in #genera_azioni; la coprogettazione può essere considerata un esito del programma Welfare in Azione e un nuovo orizzonte di crescita comune per tutti noi. Inoltre a breve sarà avviato un progetto con l’obiettivo di trasferire quello che abbiamo imparato in #genera_azioni anche ai servizi sociali specialistici più ordinari come il servizio tutela minori. Anche a seguito di quanto emerso in quest’ultimo anno sulle fragilità familiari ci è sembrato giusto provare a ripartire da lì.
La testimonianza:
Federica Papotto, Facilitatrice adolescenti nel Punto di Comunità di Montichiari
Ho iniziato la mia collaborazione con #genera_azioni 3 anni fa, nel punto di Comunità di Montichiari. Ci occupiamo di attività per adolescenti, dalla seconda media alla seconda liceo, creando e gestendo laboratori di varie tipologie: educazione alla cittadinanza, attività teatrali, e l’officina creativa che è dedicata ai ragazzi che provengono dal Centro di Salute Mentale. I laboratori sono aperti a tutti gli adolescenti, ma molti di loro vengono inviati dalla scuola, o segnalati dai servizi; anche se ci sono attività, come quelle estive, che hanno coinvolto gruppi misti e non necessariamente fragili e dove molti ragazzi si sono uniti spontaneamente. Ma generalmente non è così ed è per questo che spesso sono diffidenti quando arrivano da noi, perché difficilmente decidono in autonomia di farlo: vengono perché sono mandati, dai genitori o dai servizi, o sollecitati da noi perché li abbiamo incontrati in altri contesti. Con il passare del tempo la diffidenza si scioglie: il nostro punto di forza sta secondo me nel fatto che, essendo più destrutturati di un normale servizio, possiamo stabilire una connessione più diretta con i ragazzi.
Nei servizi normalmente c’è un passaggio che coinvolge i genitori in modo molto più forte, mentre noi possiamo permetterci di coinvolgerli solo se di fronte a situazioni molto impegnative, o comunque meno spesso. nelle attività ovviamente ci sono delle regole, però c’è anche molta libertà e flessibilità. Un’esperienza che ha dato frutti bellissimi e che riprenderemo appena la pandemia ce lo consentirà è il Consiglio Comunale. I ragazzi partecipano a un percorso di cittadinanza attiva dove si lavora sul gruppo, sul concetto di essere cittadini del territorio, si analizzano i problemi che loro stessi ritengono importanti per la loro città. Dopodiché si incontrano i rappresentanti comunali e si lavora sulle possibili soluzioni, se sono realizzabili, perché in alcuni casi non lo sono a livello comunale e anche questo è importante da capire. Ma se le soluzioni si trovano, si utilizzano le competenze e le capacità dei ragazzi. Per esempio un anno abbiamo lavorato sul problema dello sfratto per i cittadini che non pagano l’affitto e i ragazzi hanno ideato una bancarella dove hanno venduto cose prodotte da loro e poi il ricavato è stato donato a un’associazione che aiuta le famiglie in difficoltà su questo tema. All’interno di questo progetto abbiamo fatto un’esperienza di due giorni a Strasburgo: abbiamo visitato il Parlamento europeo e partecipato a una seduta in plenaria. Molti di questi ragazzi non erano mai stati fuori dal Comune di Montichiari ed è stata un’emozione fortissima per loro, anche per noi operatori. Capire che cosa significa essere cittadini europei attraverso un viaggio, attraverso una visita ai luoghi dove l’Europa vive è stato importantissimo. Anche perché su 100 ragazzi che hanno partecipato l’80% aveva origini straniere e comprendere di fare parte di un’istituzione che li tutela li ha molto rassicurati. Appena il Covid ce lo permetterà, ci rimettiamo in viaggio.
Un patrimonio di relazioni, esperienze e progetti che continuerà a viaggiare nella Bassa Bresciana