«Ci aiutiamo a vicenda ma quello che vogliamo lo scegliamo noi». Poter vivere nel mondo di tutti e non in un recinto fuori dal mondo significa poter scegliere. E Stefano Savio, 29 anni, grazie al progetto L-inc adesso lo può fare. L-inc, sostenuto nella terza edizione del bando Welfare di Comunità di Fondazione Cariplo, si è posto un traguardo molto preciso, lo racconta il responsabile Marco Bollani: «Volevamo trasformare radicalmente i servizi diurni e residenziali per la disabilità. I primi per farli diventare un accompagnamento alla vita indipendente e i residenziali luoghi di coabitazione e per fare casa. Non più luoghi speciali che accolgono persone per mettere in atto trattamenti riservati e quando i familiari non ce la fanno più.
Oggi i servizi funzionano soprattutto per aiutare i genitori a tenere a casa i figli finché ce la fanno, nella nostra visione i servizi devono funzionare per aiutare i genitori finché sono in tempo per consentire ai figli a uscire di casa.
Il passaggio è da una visione sociosanitaria a una visione sociale della disabilità orientata alla vita indipendente nella società e alla generatività». Quando L-inc, un partenariato che riunisce pubblico e privato sociale con Anffas Lombardia come ente capofila, prende il via nell’area di Nord Milano (comuni di Cinisello Balsamo, Bresso, Cormano e Cusano Milanino) apparentemente sul territorio le risposte alla disabilità c’erano tutte: «c’erano servizi strutturati, un impegno consolidato del pubblico e del privato sociale, c’erano anche dei focolai d’innovazione. Ma mancava completamente una visione condivisa del cambiamento per trasformare i servizi secondo l’orizzonte della convenzione Onu che sancisce il diritto alle persone con disabilità a partecipare, ad autodeterminarsi, a compiere le proprie scelte e ad avere tutti i supporti necessari per poter esercitare questi diritti. Mancava una strategia comune per mettere in piedi il cambiamento e un piano d’azione per promuovere il cambiamento». L-inc si è posto l’obiettivo di rivalutare le aspettative di vita di circa 60 persone con disabilità, continua Bollani:
si trattava di capire che cosa mancava a queste persone che apparentemente avevano tutto in termini di offerta. E quello che abbiamo capito è che mancava la libertà, l’informalità, la possibilità di scegliere in prima persona. Alcuni di loro si sentivano compressi in una miriade di attività in centri e servizi ma non avevano nessuno con cui andare a bersi una birra o fare qualcosa che davvero volevano nel tempo libero
erano preda di un’offerta ricca ma pre-confenzionata, una sorta di overbooking di proposte che però non aderiva alle loro aspettative. Quello che avevano non era il loro progetto di vita. Uno di loro, Stefano Morano che era stato messo in una comunità dalla zia a sua volta disabile dopo la morta dei suoi genitori, ci ha detto subito “Mi sono stufato di vivere in una comunità alloggio, voglio un appartamento mio e desidero tornare a Cinisello dove vivevo prima, andare dal mio barbiere e prendere il caffè nel mio bar”. Dopo aver ascoltato le persone abbiamo detto “cari comuni, care associazioni, care cooperative, dobbiamo seguire i desideri delle persone perché altrimenti produciamo interventi ma non miglioriamo la loro qualità di vita. Il “budget di salute”, un modello di intervento che è stato storicamente applicato nell’ambito della psichiatria, è lo strumento che avevamo individuato per dare sostenibilità ai progetti individuali. In ambito sociosanitario non era mai stato applicato, noi abbiamo lavorato per adattarlo all’ambito della disabilità intellettiva, componendo un puzzle di risorse economiche prima frammentate e parcellizzate per sostenere il progetto di vita della persona, costruito in modo flessibile a partire dai suoi bisogni e desideri».
E ora, 4 anni dopo, che cosa è cambiato grazie agli interventi? «Posso dire che abbiamo modificato radicalmente la visione d’insieme delle politiche di welfare per la disabilità, oggi i servizi pubblici e del privato sociale hanno una nuova consapevolezza e un luogo operativo che prima non esisteva per realizzare il cambiamento: l’Agenzia per la Vita Indipendente. Non era uno degli obiettivi di progetto inizialmente ma durante il nostro percorso ci siamo resi conto che i servizi non bastavano più, che serviva un luogo deputato per aiutare le persone a costruire progetti di vita indipendente e a realizzarli. L’Agenzia, costituita al termine della sperimentazione triennale, da un lato ne rappresenta un importante risultato ed eredità, dall’altro un significativo punto di partenza. Si tratta di una realtà partecipata dai comuni e dalle cooperative territoriali e l’ente capofila non è più Anffas Lombardia, ma l’Anffas del territorio. Nell’agenzia un gruppo di lavoro composto da operatori di varie reti coinvolge le persone con disabilità e i loro genitori nella costruzione dei progetti di vita indipendenti. Oggi Stefano Morano vive in uno degli appartamenti del progetto, Casa Arcipelago a Cinisello, va dal suo barbiere e prende il caffè nel suo bar».
Tra tutte le innovazioni introdotte grazie al progetto, qual è stata la più significativa?
Noi volevano sperimentare il budget di salute invece l’abbiamo di fatto costruito e abbiamo precorso i tempi. Oggi nella legislazione attuale di Regione Lombardia c’è la costruzione di un fondo unico per la sperimentazione del budget di salute per la disabilità ed esiste un gruppo di lavoro di cui facciamo parte anche noi. E gli stessi obiettivi sono contenuti anche nella legge delega di riforma della disabilità prevista dal Pnrr».
Che cosa è accaduto che non era stato previsto e che cosa invece il progetto non è riuscito a realizzare? «Tante cose non erano state previste, anzi in questi anni è cambiato tutto: è cambiata la giunta del comune capofila, Cinisello Balsamo, sono cambiati gli operatori e anche il responsabile, che prima non ero io. Abbiamo dovuto quasi ricominciare da capo perché erano cambiati i perni dell’attuazione territoriale del progetto, e poi c’è stato il Covid. Che in una prima fase ci ha costretti a una ritirata clamorosa ma paradossalmente ci ha aiutati perché ha accelerato il processo su cui stavamo facendo più fatica cioè convincere il legislatore regionale a modificare alcuni paletti delle norme. Faccio un esempio: L-inc aveva come obiettivo quello di lavorare con le persone con disabilità non solo nei luoghi deputati, cioè i servizi, ma anche nei luoghi di comunità: oratori, società sportive, luoghi aggregativi, biblioteche, orti sociali. È arrivato il Covid e si è fermato tutto. Ma quando si è trattato di riaprire i servizi nell’emergenza abbiamo proposto a Regione Lombardia di decentrare le attività per fare in modo di attivarle in sicurezza. Ed è accaduto un miracolo, abbiamo fatto goal, il progetto L-inc è diventato un riferimento per la riapertura dei servizi e la norma (dgr 3183) è stata riscritta insieme a noi e ora è diventata il modello per la trasformazione e riqualificazione dei servizi. Rispetto a quello che non siamo riusciti a realizzare, inizialmente pensavamo di creare un software per la gestione del budget di salute ma non siamo riusciti a portarlo a termine. Un po’ perché il tempo non è bastato ma anche perché abbiamo capito che non riuscivamo a standardizzare, perché in questo campo la modellizzazione è fattibile fino a un certo punto, ed è stato un grande apprendimento capirlo».
Quali sono state le principali difficoltà? «La collaborazione tra privato sociale e pubblico è stata una grande sfida perché ognuno di noi si portava dietro il proprio ruolo, la propria gerarchia, i propri modelli e riferimenti. Invece si è trattato di metterci tutti sullo stesso piano, toglierci la nostra giacchetta ed entrare in una centrifuga. Capire tutti insieme che un’ora sola di corso di inglese valeva come dieci in un servizio se era questo che la persona voleva».
C’è una storia che più di ogni altra racconta la trasformazione che il progetto ha generato? «Ce ne sono tantissime. La storia di Stefano Morano o quella di Stefano Savio, che sembrava destinato a essere un utente dei servizi tutta la vita e a vivere sempre con i suoi ma quando lo abbiamo intervistato la prima cosa che ci ha detto è stata “voglio lavorare e uscire di casa” e oggi ha realizzato entrambi.Ma non ci sono solo le storie personali, esistono anche quelle di gruppo, frutto di casualità: stavamo lavorando per inserire una ragazza nel gruppo di cucito dell’oratorio perché era la sua passione. Dopo che Concetta si è inserita abbiamo visto che c’era un tempo morto tra l’impegno nell’oratorio e l’attività nel centro e le abbiamo chiesto che cosa volesse fare e lei ci ha detto che voleva andare al bar. Ha iniziato a frequentare un bar tutte le settimane con l’operatore e chiacchierando con la padrona del bar è venuto fuori che Concetta sognava di lavorare anche lei in un bar. Insieme alla titolare, che si è presa a cuore la sua situazione, abbiamo organizzato un tirocinio proprio lì. Non era un’azione né prevista né progettata ma è successa a partire dal desiderio di Concetta e dalla sua libertà ed è il frutto di tutto quello che abbiamo seminato. C’è anche un’altra storia, legata a un altro bar dove gli operatori andavano in pausa pranzo. Il bar organizzava un gruppo di cammino e le signore e i signori che partecipavano hanno accolto con entusiasmo tra di loro alcuni ragazzi e ragazze di l-inc».
Quali sono i progetti futuri a cui state pensando, innescati grazie anche all’esperienza e apprendimenti del progetto? «Con il nostro intervento e con la nostra azione di scompaginamento oggi abbiamo in mano una modalità di lavoro che ci consente di trasformare veramente i servizi nell’ottica della promozione dell’autodeterminazione delle persone con disabilità. Il mandato di L-inc è stato inserito nell’Agenzia per la Vita Indipendente e oggi l’orizzonte è davvero questo, perché anche l’evoluzione normativa è andata nella direzione che avevamo proposto.
Ma nel realizzare L-inc siamo cambiati anche noi perché abbiamo capito una cosa: che per fare innovazione sociale il sentiero lo costruisci camminando e capisci che cosa hai fatto solo guardando indietro. Non si può costruire una mappa per cambiare e imporre un modello calato dall’alto. Molte volte abbiamo dovuto stravolgere i nostri piani in base alle esigenze delle persone, dei luoghi, delle situazioni, essere flessibili, adattarci.
Abbiamo capito che non potevamo utilizzare il modello astratto del budget di salute ma che dovevamo personalizzarlo persona per persona. Non abbiamo dato un software a Regione Lombardia, ma qualcosa di più grezzo ma molto più utile. Posso dire che abbiamo sbagliato il tiro ma centrato l’obiettivo e questo è stato possibile anche grazie alla flessibilità di Fondazione Cariplo nell’affiancarci. Senza questa fiducia e gli stimoli a sperimentare che ci ha dato non ce l’avremmo fatta».
Stefano Savio ha aderito con entusiasmo alla proposta di raccontare la sua storia e di pubblicare la sua fotografia, ci tiene a parlare di quella che definisce la sua “rivoluzione”: vivere con il suo amico Mirko in un appartamento loro: «Prima della pandemia avevo trascorso alcuni week end nella casa Arcipelago. Ma si trattava di esperienze brevi e pensavano a tutto gli educatori.
Con il Covid sono stato bloccato a casa con i miei genitori ma ora finalmente vivo tre giorni a settimana insieme a Mirko e dormiamo soli. L’operatore si ferma con noi solo a cena, poi rimaniamo per conto nostro, Mirko guarda la tv, io sto sul tablet, ascolto musica o vado a trovare i ragazzi che abitano negli altri appartamenti di Casa Arcipelago. Il menù lo scegliamo insieme ma io spesso mangio cose diverse perché sono vegano, anche se ogni tanto faccio qualche strappo alla regola. Le pulizie le facciamo a turno. Ci aiutiamo a vicenda ma ognuno fa quello che desidera. Mi sento indipendente ed è quello che volevo più di tutto
Grazie a L-inc ho anche un contratto a tempo indeterminato come cameriere con il ristorante Hortus. Un lavoro che mi piace perché sono goloso e perché amo stare a contatto con le persone. Avevo già fatto delle esperienze ma desideravo un lavoro fisso, mi dava fastidio che i miei mi dessero i soldi quando dovevo uscire. Un’altra cosa che faccio attraverso L-inc è il portavoce nel Gruppo dell’Auto rappresentanza (ndr un gruppo promosso da Anffas in cui persone con disabilità partecipano a temi di cittadinanza attiva. Il gruppo del territorio si sta occupando al momento delle barriere architettoniche). I miei genitori sono contenti e fieri di me. In realtà sono sempre stati fiduciosi perché sono un tipo che non molla mai. In futuro voglio vivere da solo sempre e voglio anche ridare l’esame di pratica della patente, ho superato la teoria ma poi ho scelto di rimandare la pratica. In quel momento non me la sentivo ma a breve ci riproverò». Un’altra tappa nella rivoluzione di Stefano e della sua vita finalmente fatta di scelte.