Si è concluso il 31 luglio 2018 lo straordinario percorso del progetto Comunità Possibile, durato tre anni e finanziato nella prima edizione del bando Welfare in Azione di Fondazione Cariplo. Un progetto nato per migliorare la vita delle famiglie con figli di età compresa tra gli 0 e i 12 anni con l’obiettivo di sostenerle nel loro ruolo educativo e di cura, proprio a partire dalla messa in campo delle risorse delle famiglie sul territorio.
Tutto è cominciato nel 2015. Nato dall’esperienza di attivazione di un gruppo di famiglie del territorio, il progetto Comunità Possibile ha coinvolto su questo tema tutti i 13 Comuni dell’ambito di Magenta. L'innovazione fondamentale introdotta nel sistema del welfare locale è il coinvolgimento delle famiglie nell’individuazione stessa dei loro bisogni e nella co-progettazione e co-realizzazione delle risposte, contribuendo così a ripensare dal basso i servizi rivolti ai minori e alle famiglie sul territorio. A partire da servizi sociali abituati alle funzioni tradizionali di sportello, all’erogazione di prestazioni a domanda individuale, Comunità Possibile ha sperimentato decine di attività in cui per la prima volta le famiglie hanno avuto voce in capitolo nella definizione delle attività, nella decisione di temi e orari, nella modalità di realizzazione.
In fase di progettazione pensavamo di rivolgerci alle famiglie in carico ai servizi sociali, in realtà nelle attività sono state coinvolte molte famiglie che presentavano fragilità ma che non erano ancora conosciute dai servizi.
Il coinvolgimento delle famiglie è avvenuto attraverso le relazioni, in modo naturale e meno stigmatizzante: bambini disabili o famiglie con difficoltà educative, relazionali o economiche sono stati accolti e hanno trovato opportunità di sostegno nella quotidianità.
Un cambio di prospettiva
Coinvolgere le famiglie, portarle al di qua del tavolo per produrre insieme il welfare territoriale ha comportato apprendimenti e cambiamenti di prospettiva da molti punti di vista, per tutti gli attori.
Per le organizzazioni partner ha significato lavorare alla pari, senza le gerarchie implicite che spesso regolano i tavoli istituzionali, usando schemi di incontro come le comunità di pratiche, per ragionare insieme sulle soluzioni a problemi comuni. Si è creato un luogo paritario, di gestione delle attività, dove piccole parrocchie o singole associazioni di genitori hanno dialogato alla pari con istituzioni o cooperative sociali per disegnare il progetto. Per gli operatori ha comportato un cambio di sguardo e di linguaggio, reso possibile anche grazie ad una formazione ad hoc, ovvero dialogare alla pari con gli utenti, immaginando e costruendo insieme opportunità, rinunciando al ruolo di erogatori di prestazioni. Ha significato per tutte le organizzazioni la rinuncia al modello tradizionale di progettazione “a tavolino”, a vantaggio di una modalità interattiva coi beneficiari già in fase di disegno della proposta, con l’ulteriore apprendimento che i cittadini si fanno parte attiva più volentieri se si anima il proprio territorio da protagonisti. Ha significato una diversa prospettiva anche per le famiglie stesse, sollecitate non più solo a “comunicare i propri problemi” ma a “mettere in campo le proprie risorse”, uscendo dalla logica assistenzialista e diventando cittadini attivi. Per la prima volta i genitori sono stati invitati ad entrare nelle aule, dove di solito i loro figli seguono le lezioni, e tenere delle attività in quei luoghi. Ciò ha comportato il superamento di un confine e l’apertura a nuove possibilità.
Nell’incontro valutativo di fine progetto i referenti delle diverse attività hanno ricordato il fatto che ora gli operatori individuano risorse e non raccolgono solo dei problemi, e le famiglie si adoperano per dare una mano senza porsi più in una logica puramente passiva. Si è usciti dalla logica dello sportello per approdare nei luoghi della vita quotidiana come nelle biblioteche, negli spazi verdi, nelle farmacie, nelle scuole al pomeriggio e nelle conversazioni quotidiane.
Progettare insieme alle famiglie è una sfida perché significa sapersi organizzare bene, accettare certi margini di errore tutelando i beneficiari. Da beneficiari vuol dire uscire da una “zona di conforto” di semplice fruitore di prestazioni per dare voce invece alle proprie risorse, e quindi non tutti ce l’hanno fatta. Non si può dire che tutto il welfare territoriale oggi segua questa logica ma le 22 attività nate sotto Comunità Possibile e ancora attive sì. Coinvolgere le famiglie e creare attività in collaborazione è un’operazione complessa. Significa uscire dagli uffici, rompere il setting dello sportello, ed esserci magari il sabato, la domenica, la sera, quando è più realistico incontrare i cittadini. È stata promossa l’autonomia delle famiglie ma gli spazi non sono mai divenuti in totale autogestione, la mediazione di figure educative è sempre rimasta come richiesta di garanzia.
Il territorio: dialogo alla pari con le istituzioni
Il progetto è partito creando una rete molto ampia di 58 organizzazioni (i 13 Comuni dell’Ambito, il Privato sociale del territorio fatto di Cooperative, Associazioni, Parrocchie, Fondazione Comunitaria, le scuole, l’Azienda consortile dei servizi alla persona, l’Asl) per la prima volta insieme in un progetto, sotto la guida dell’Ufficio di Piano.
Nel corso del triennio si sono aggiunte 260 nuove relazioni di rete come la Pro Loco, le associazioni culturali e sportive, biblioteche e parrocchie. Ma anche soggetti nuovi come le farmacie o le scuole con cui non c’era l’abitudine di una vera collaborazione.
La logica comunitaria ha aiutato anche a razionalizzare le risorse e ridurre gli sprechi grazie a delle consultazioni. In questo modo si è smesso di tenere in piedi attività che non incontrassero richieste. I servizi e gli spazi offerti da Comunità Possibile che hanno incontrato pochissima domanda così sono stati riprogettati in chiave partecipata dalle famiglie o abbandonati del tutto.
Un cambio di metodo
Anche nel rapporto tra ente pubblico e famiglie, c’è stato un cambio di prospettiva, oggi vengono promossi tavoli di confronto e incontri di co-progettazione. L’assessore ai servizi scolastici e alle politiche sociali di Boffalora, Sabina Doniselli, parla di un cambio di metodo.
Quando abbiamo capito che dovevamo rendere protagoniste le famiglie è cambiato tutto. La cosa bella è che i genitori adesso partecipano a tutti gli incontri. Cerco inoltre di coinvolgere in modo informale più persone possibili chiedendo loro di diventare volontari: la signora che insegna francese, è una ex insegnante in pensione che si è trasferita a Boffalora da Parigi.
Sempre dal dialogo con le famiglie è nata l’idea di attivare un Campus Invernale con i bambini dei tre comuni di Marcallo, Boffalora e Mesero per sostenerle durante il periodo delle vacanze natalizie quando alcuni genitori lavorano. Sarà disponibile uno scuolabus per portare i bambini degli altri due comuni a Boffalora.
L’innovazione
Oltre al coinvolgimento dei beneficiari nella progettazione e/o nella realizzazione delle attività e a nuovi soggetti (farmacie, scuole, biblioteche) protagonisti di azioni di welfare, il territorio dispone delle opportunità di sostegno alla funzione genitoriale (di tipo educativo, aggregativo e conciliativo) accanto ai tradizionali servizi all’infanzia e alla scuola. Si raggiungono target che non trovavano risposta nei servizi tradizionali. La scelta della formazione di operatori e cittadini ingaggiati nell’attivazione delle famiglie – anziché l’inserimento di nuove figure ad hoc per questa funzione – ha internalizzato al territorio competenze di sviluppo di comunità che si possono ora spendere nella continuità delle attività.
Fundraising e peopleraising
Fundraising e Peopleraising erano attività del tutto nuove per l’Amministrazione Comunale, e per la gran parte dei partner. Quindi si è dovuto imparare tutto: come attivarle, rendicontarle, gestire le entrate, come tenere traccia di donazioni e donatori. dal punto di vista della raccolta fondi, il progetto non ha raggiunto grandi donazioni monetarie, ma si è prestato a generose donazioni di tempo e di aiuto. per fronteggiare le richieste di aiuto dei genitori
Attivare i beneficiari, formare gruppi, chiedere a ciascuno cosa può dare, dal semplice tempo ad abilità professionali, e quindi co-produrre il welfare del territorio, con il volontariato e le valorizzazioni: questo è stato Comunità Possibile e continuerà ad essere nelle nuove progettazioni.
Comunità Possibile: progetti per il futuro
Le famiglie coinvolte nella progettazione delle attività sono state 268 il primo anno, per arrivare a essere 919 al termine del triennio di sperimentazione. Quelle coinvolte nell'organizzazione e nella realizzazione delle attività, sono state complessivamente 1000.
Delle 27 attività di progetto solo 5 risultano al momento certamente concluse, le altre proseguono o si trasformano. Oggi Comunità Possibile funziona come un marchio promosso dall’Ufficio di Piano anche fuori dal suo perimetro iniziale, per tutte le attività del settore che rispondono ai “requisiti comunitari” richiesti: rendono le famiglie protagoniste, sono in rete con altri, fanno pooling di risorse quindi mettono insieme risorse pubbliche, private, contributo dei beneficiari e cofinanziamento.
“Abbiamo presentato al tavolo politico e degli assessori una possibilità di continuità e la risposta è stata positiva in futuro sperimenteremo lo stesso metodo di lavoro anche in ambiti differenti, per ripensare servizi per anziani e disabili.
Inoltre a partire dalla rete di Comunità Possibile si sono sviluppati altri partenariati che hanno avviato nuove coprogettazioni su tematiche simili, dalla povertà educativa, alla conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro, al sostegno comunitario ai ragazzi nei centri diurni. Le connessioni cresceranno ancora ma la regia sarà unica e resterà in capo all’Ufficio di Piano.
Se è vero che ogni famiglia è un progetto, Comunità Possibile è una grande famiglia che ha imparato a progettare e vuole continuare a farlo.