Si chiamano ESP, Esperti in Supporto tra Pari, e sono delle figure chiave all’interno di aMicittà, uno dei progetti inseriti nel bando “Welfare di comunità” di Fondazione Cariploche lavora affinché le persone con disagio psichico possano realizzare il proprio progetto di vita nella comunità locale che abitano. Gli ESP sono infatti persone che hanno elaborato un proprio vissuto di difficoltà psicologiche personali come utente psichiatrico, che mettono a disposizione le proprie esperienze di vita con l’intento di essere d’aiuto all’interno di una relazione paritaria. Abbiamo intervistato Paolo Macchia, ideatore e regista della trasmissione “Il Canguro” all’interno di Radiomenta, una radio fatta da persone in carico ai servizi di salute mentale. Paolo Macchia, con una lunga esperienza di dipendenza e depressione alle spalle, ha cominciato nel 2012 un bellissimo percorso che è diventato la sua occasione di riscatto sociale. Oggi Paolo è presidente di Rete utenti Lombardia, formatore in Bicocca e all'Università di Psicologia di Pavia, ma anche Utente Esperto. A ottobre diventerà un ESP.
Come comincia la tua storia?
Sono nato a Napoli nel 1963 e mi sono trasferito a Milano nel 1988 a 25 anni. La mia esperienza con il disagio e le fragilità vengono da lontano. A circa 17 anni divento tossicodipendente, a 38 anni smetto da solo e definitivamente con ogni sostanza ma a 40 anni cado in un profondo stato depressivo non trattato. La notte del 14 gennaio 2002 ho un grave incidente automobilistico che mi procurerà la rottura di 2 vertebre cervicali con conseguente tetraplegia. Operato alla neurochirurgia del Niguarda un po’ alla volta riprendo a camminare, anche se porterò per la vita alcune limitazioni fisiche. Dovrò dire addio alla mia professione di operaio specializzato tornitore. Dimesso dall’Unità Spinale vengo inviato al CPS (Centro Psico Sociale) del mio territorio. Qui comincia la mia esperienza con la salute mentale.
Come comincia il tuo riscatto?
Per diversi anni ho fatto il solito iter: più farmaci associati e una serie di attività risocializzanti o ludiche. Sono anni molto bui e difficili, pensare a un futuro è molto complicato. Nel 2012 la mia psichiatra mi chiede se voglio incontrare una persona, dico sì. Così sono entrato nel Progetto Forum degli Utenti della Salute Mentale, volto al protagonismo degli utenti, ai percorsi di Recovery e Empowerment. Comincio a partecipare come semplice uditore, forse più un esploratore. Nel 2014 comincia quella che definisco la mia formazione che ancora va avanti. Questa mia esperienza sul campo mi ha portato ad essere invitato più volte a fare formazione sui percorsi di guarigione, non solo come testimonianza, ma anche per raccontare ai futuri operatori che non esiste solo la cronicità e che le prassi che vedono i maggiori benefici e risultati sono quelle che prevedono la presa in carico a 360°. Questo mio percorso, che è diventato sempre meno sanitario, mi ha permesso di sperimentare con successo la graduale diminuzione fino alla completa sospensione di ogni farmaco. Mi ha permesso anche di ricostruirmi una vita, amici, interessi, passioni, lavoro.
A ottobre diventerai un Espertoin Supporto tra Pari, come aiuterai altre persone a trovare anche il loro riscatto?
La salute mentale non è solo un fattore biologico e quindi farmacologico, ma ha bisogno di vedere la persona nella sua complessità e specificità. Per questo aMIcittà ha previsto in ogni mini equipe di lavoro la figura dell’esperto alla pari che metterà a disposizione la propria esperienza di vita con l’intento di aiutare altre persone. Il progetto aMIcittà, se come crediamo tutti avrà successo, creerà il precedente per puntare a una trasformazione dei servizi esportabile fino in Regione Lombardia, che è soggetto firmatario dell’accordo di rete del progetto
Come è nata l’esperienza di RadioMenta?
RadioMenta è nata tre anni fa grazie a un piccolo finanziamento del Comune di Milano e alla formazione e al supporto di Shareradio che ospita tutti i mercoledì mattina la nostra trasmissione il Canguro. RadioMenta èuna radio della salute perché è fatta da persone in carico ai servizi di salute mentale che si divertono a fare a radio. Per questo ci piace dire che RadioMenta rinfresca la mente.
Tu sei l’ideatore e il regista della trasmissione il Canguro. Perché si chiama così?
Si chiama così perché si salta da un genere musicale all’altro.
Come mai avete scelto la radio come mezzo?
Me lo hanno proposto e io ho accettato. Nonostante io non abbia mai ascoltato la radio, amo molto la musica. Quando avevo 13 anni ascoltavo i dischi dei Genesis di mio fratello maggiore. Ascolto rock, country, folk, blues da più di 40 anni e mi è sempre piaciuto fare ascoltare la mia musica agli altri. Inizialmente credevo che con la trasmissione sarei stato io a consigliare la mia musica saltando all’interno delle mie sonorità. Invece poi è diventato un canguro collettivo.
Chi partecipa alla trasmissione Canguro?
Quasi tutti sono ospiti di residenzialità leggera e comunità gestite da Cooperativa Lotta Contro l'Emarginazione, capofila del progetto aMicittà. Sono persone che vivono un momento di riabilitazione, ma sono soprattutto persone che amano la musica, che da tre anni portano ogni settimana due brani da condividere. C’è Luchino, che vive in un appartamento protetto, che ha una bella dimestichezza con il microfono perché ha un passato da artista televisivo. C’è Massimo che tutte le settimane si deve fare pregare per venire in radio, ma poi viene sempre. C’è Antonio, che è giovanissimo, che vive con il padre. Antonio è milanese ma ha il pallino per i neomelodici napoletani. Io prendo un po’ in giro lui e lui prende in giro me se porto un blues elettrico contemporaneo. Da poco c’è Rita, che vive in comunità, che è spigliata con il microfono. E c’è Vittorio, che vive in famiglia, che è molto introverso. All’inizio non diceva una parola. Adesso quando presenta il suo brano, legge le sue riflessioni profondissime scritte a mano su un foglio A4. Il mercoledì con noi c’è anche un operatore della Cooperativa che ha un approccio decisamente poco sanitario. Quando non c’è, siamo comunque autonomi, abbiamo le chiavi dello studio per registrare la nostra puntata settimanale. Quando siamo pochi, siamo in 6 ma a volte siamo anche 12. E comunque abbiamo ancora sedie. Non sappiamo solo fare la radio, sappiamo anche accogliere persone nuove.
Che impatto ha RadioMenta?
Sono nate delle amicizie e delle relazioni. Alcune persone si sono conosciute attorno a un tavolo e adesso ogni tanto si frequentano al di fuori della radio. L’anno scorso mi è capitato di accompagnare Massimo a ritirare delle casse che aveva comprato su internet. Inizialmente si era rivolto agli operatori ma gli operatori gli avevano detto “Perché non chiedi a un amico?” e allora lui aveva chiesto a me. Così siamo andati a Lecco insieme.
Cos’ha di speciale RadioMenta?
Non lo so ma credo che siamo fra i pochi a trasmettere con costanza, ogni settimana, alla stessa ora e in diretta. Chiedo ai partecipanti di mandarmi i loro brani almeno due giorni prima in modo che io possa preparare la puntata, è una questione di impegno e rispetto.
In che modo RadioMenta incontrerà aMicittà?
Chi entrerà a far parte del progetto AMicittà potrà divertirsi a fare radio con noi. Il nostro gruppo è un gruppo alla pari, dove ogni persona nuova ha la possibilità di sentirsi a proprio agio e soprattutto non giudicato. In questi tre anni di radio abbiamo avuto molti ospiti e nessuno si è mai sentito fuori posto o non gradito. Spesso proprio il fatto di avere vicino a sé persone che hanno vissuto, o che vivono ancora il disagio sulla propria pelle, mette in una condizione di non giudizio e innesca un meccanismo virtuoso che aiuta e che crea un ponte tra le persone e gli operatori. Se qualcuno dei beneficiari dei budget di salute ama la musica, è sicuramente invitato.