Fare Legami, insieme siamo invulnerabili

Un progetto che a Crema, Cremona e Casalmaggiore ha affrontato la vulnerabilità scommettendo sui "patti generativi", accordi fra i cittadini e la comunità

Data di pubblicazione: 31 Marzo Mar 2020 1438 31 marzo 2020

Articolo redatto prima dell’emergenza Covid19

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A ottobre 2018 si è concluso il percorso del progetto Fare Legami, durato più di tre anni e finanziato nella prima edizione del bando Welfare in Azione di Fondazione Cariplo.

Un progetto di welfare comunitario che a Crema, Cremona e a Casalmaggiore ha avuto l'ambizione di ripensare il sistema dei servizi, mettendo al centro le persone, le loro risorse, le loro responsabilità e le loro relazioni.

Con l’obiettivo di contrastare la vulnerabilità.

L’inserimento di un Community Maker, i Laboratori di Comunità, i Patti Gener-Attivi e i Civic Center sono state tutte azioni dedicate alla costruzione di una comunità più forte, consapevole e coesa.

La vulnerabilità gira

Il tempo in cui era stato concepito il progetto era un tempo in cui aumentavano sempre più le situazioni di vulnerabilità sociale, di debolezza delle persone e delle famiglie, di isolamento relazionale. Il disagio diffuso, che spesso non si manifestava in modo eclatante, coinvolgeva fasce di popolazione sempre più ampie. Persone che vivevano una condizione di normalità segnata da solitudine, incertezza e mancanza di garanzie verso il futuro.

L’indebolimento dei legami sociali, la difficoltà nelle relazioni familiari, maggiori carchi di cura o problemi legati alla casa e al lavoro, rappresentano fattori in grado di aprire una crisi.

In questo contesto Fare Legami ha intercettato un target nuovo: i soggetti “vulnerabili” che in larga parte non erano mai entrati in contatto con i servizi e ha scelto luoghi inediti per l’aggancio dei destinatari dell’intervento, diversi da quelli in cui tradizionalmente operano i servizi.

Abbiamo intercettato quelle famiglie che non erano in contatto con i servizi sociali ma che stavano vivendo una vulnerabilità temporanea dovuta al venire meno di un equilibrio. Le abbiamo cercate attraverso i laboratori, le associazioni, le sentinelle informali e il passaparola.

Annalisa Mazzoleni, Dirigente dell'U.O. di Coordinamento dei Servizi Sociali e Socio-Educativi Comune di Crema

Ciascuno, dal suo focus, ha scelto la vulnerabilità come oggetto d’attenzione ed attivazione. E se da una parte è stato importante “definire” questa vulnerabilità, riconoscerla, vederla, è stato altrettanto fondamentale ricollocarla dentro un continuum che va dall’equilibrio instabile, alla vulnerabilità, al disagio, alla cronicità.

Perché la vulnerabilità ha tante facce. E vulnerabili, prima o poi, lo possiamo essere tutti.

Una modalità di lavoro che gira

Nel triennio sono stati sperimentati strumenti atti a creare legami comunitari fra cittadini, territori, attori del progetto, soggetti del pubblico e del privato, capaci di sostenere le vulnerabilità.

Le microequipe multi-professionali hanno promosso la costruzione del budget di welfare attivando familiari, volontari, amici e cittadini attivi nelle comunità di riferimento del beneficiario. Il loro lavoro si è appoggiato alle attività di coordinamento garantite dal Tavolo di Lavoro dei Patti, che con continuità ha consentito di agganciare e includere altri soggetti. Di cruciale importanza si sono rivelate le funzioni di facilitazione e collegamento, tanto a livello territoriale, tramite i Lab Maker, quanto a livello interlaboratoriale, grazie ai Community Maker, che si sono occupati della manutenzione quotidiana dei reticoli territoriali e distrettuali.

I Community Maker sono stati un elemento di innovazione e di continuità.

Sono state delle vere e proprie cerniere nella governance del progetto, in grado di assicurare continuità alla catena decisionale ma anche feedback sulle relazioni di rete e sull’operatività. Passando infine al livello dei territori oggetto di intervento, è soprattutto grazie alla costituzione delle micro equipe dei Patti gener-attivi e ai gruppi di lavoro dei diversi Laboratori di Comunità e Civic Center che la governance territoriale si è rafforzata, trovando nelle reti attivate un luogo relazionale in cui confrontarsi su bisogni e risposte possibili.

La figura del Community Maker è un ruolo nato in fase di progettazione. Durante il triennio sono stati 7, fra loro assistenti sociali, psicologi, filosofi, e sono state figure di raccordo fra le azioni di Fare Legami e i livelli decisionali, ma anche facilitatori all’interno delle azioni stesse.

Ma l’eredità di Fare Legami è anche nella sperimentazione dei Laboratori con le imprese, il cui obiettivo era costruire, anche in seno alle organizzazioni produttive, dei percorsi di welfare comunitario. Sono 1.300 i lavoratori coinvolti che hanno dato vita ad azioni conciliative. Le soluzioni elaborate sono andate nella direzione di una contaminazione tra il dentro e il fuori dell’azienda, tra il pubblico e il privato, in connessione con la comunità e il territorio circostante. In questo legame virtuoso tra imprese, lavoratori e comunità locale, Fare Legami si è posto come soggetto terzo e neutro, in grado di essere ponte tra le esigenze dell’azienda, quelle dei lavoratori e quelle delle organizzazioni sindacali.

Le azioni di progetto

Fare Legami ha scelto di mettere la lente su quattro dimensioni ritenute cruciali per arginare il rischio di “sprofondamento” nella vulnerabilità: legami sociali, relazioni famigliari e carichi di cura, casa, lavoro. L’elemento che accomuna tutte le azioni promosse dal progetto è il tentativo di produrre un incremento dei legami sociali e del senso di appartenenza comunitaria.

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Patti Gener-Attivi, per un supporto non solo economico ma generativo per riscattarsi dalle proprie difficoltà

L’obiettivo dei Patti Gener-Attivi era la trasformazione della “presa in carico” tradizionale da parte dei servizi socio-assistenziali, socio-sanitari e del lavoro, superando una visione dell’intervento centrata sul singolo individuo, sui suoi bisogni e su azioni di supporto passive

Abbiamo voluto disegnare dei percorsi personalizzati, che tenessero conto dei problemi della persona, ma anche delle sue aspirazioni e sulle sue competenze, aiutandola, in un momento di fragilità, ad acquisire anche una maggiore sicurezza in sé, per poi mettere le proprie risorse al servizio della comunità. Un circuito virtuoso insomma.

Annalisa Mazzoleni

Nella maggior parte dei casi i budget di welfare personale sono stati destinati a percorsi di formazione, tirocini lavorativi, acquisizione della patente di guida. Non sono mancate progettazioni che hanno previsto anche l’acquisto di strumentazioni, beni e servizi conciliativi per la famiglia. In via residuale, l’utilizzo del budget è stato destinato a contributi diretti al beneficiario per far fronte a gravi mancanze economiche temporanee. Se in molti casi l’utilizzo del budget personale è vissuto come una mera opportunità economica e di sollievo temporaneo, obiettivo degli operatori del progetto è stato quello di farne il perno per far evolvere le situazioni accompagnate, e produrre un cambiamento rispetto al lavoro, all’abitare, alle relazioni famigliari e di contesto.

La cosa interessante è che non si è lavorato solo sui punti di debolezza ma anche e soprattutto sulle capacità e le risorse della persona, tanto che chi ha stipulato il patto e ha ricevuto un sostegno, si è impegnato a mettere le proprie competenze a servizio della comunità a titolo volontario.

Le attività dei beneficiari sono andate dalla pulizia di luoghi comunitari, a lavori di manutenzione di beni comuni, a supporti scolastici, ad attività di accudimento, all’affiancamento delle antenne sociali della comunità nello svolgimento delle loro funzioni sociali. Molte azioni si sono svolte anche all’interno di contesti già strutturati come i Laboratori o i Civic Center, producendo quindi un intreccio tra i Patti e altre azioni di Fare Legami che mirano a valorizzare il protagonismo delle comunità territoriali e contribuendo a costituire un elemento di sostenibilità delle azioni.

Laboratori di Comunità, per realizzare progetti di socializzazione e di aiuto a persone in situazioni di difficoltà economica

L’attivazione dei Laboratori di Comunità era stata pensata, in fase progettuale, come un’azione che aveva l’obiettivo di coinvolgere persone e attori di un contesto definito per provare a leggere insieme i problemi, raccogliere i bisogni e progettare le possibili modalità di intervento. Nel corso del triennio sono stati attivati 40 Laboratori di Comunità, oltre a 5 Laboratori delle Imprese all’interno di altrettante aziende del territorio. Attualmente rimangono attivi sul territorio provinciale 34 Laboratori di Comunità (12 su 13 nel cremonese, 16 su 19 nel cremasco, 6 su 8 nel casalasco) e tutti e 5 i Laboratori delle imprese.

In molti operatori sociali si è assistito a un cambiamento culturale, diventando più propensi a esplorare nuovi setting di lavoro al di fuori dell’ufficio o dello sportello, più attenti ad ascoltare le segnalazioni che arrivano da soggetti informali e, infine, più inclini ad adottare metodi di co-progettazione e orizzonti di co-responsabilità.

Tutti i Laboratori si sono chiesti “Cos’è nel nostro territorio la vulnerabilità?”

A Chieve in un anno si era passati da 1000 a 2000 abitanti. Qui all’interno di un Laboratorio di Comunità sono nate occasioni di incontro e un giornalino del paese, il “Chieve News”. In questo contesto la funzione del community maker è stata di empowerment.

Michela Oleotti, Community maker
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I Laboratori di Comunità sono stati dotati di un budget che ha permesso la formazione dei tavoli di pensiero, l’aggregazione della rete locale, il posizionamento delle realtà esistenti, la spinta alla sperimentazione nella logica dei legami comunitari, l’ideazione e messa in atto di attività concrete di risposta ai bisogni sociali emersi. Ma alcuni non sono stati in grado di spendere le risorse economiche loro destinate, perché l’avvio delle attività ha portato disponibilità e risorse volontarie inaspettate. Altri elementi di sorpresa sono stati la capacità di alcuni territori di attivare e mantenere vivo il Laboratorio di Comunità senza la partecipazione proattiva dei servizi sociali pubblici.

Civic Center, luoghi a disposizione della comunità dove trovare soluzioni

Il principale cambiamento promosso dall’azione Civic Center concerne l’apertura alla comunità delle scuole, dei centri sociali e centri di aggregazione, degli oratori.

La sfida di Fare Legami era che questi luoghi potessero cambiare, almeno in parte, la loro natura e la loro funzione, aprendosi al territorio e assegnando ai cittadini la titolarità dell’iniziativa e delle progettualità. In quest’ottica, i cittadini sono stati invitati a portare il loro punto di vista, le loro risorse, le loro relazioni. Qui sono stati realizzati corsi di lingua, formazioni genitoriali, inserimento di ragazzi diversamente abili, attività pomeridiane a scuola.

In tutti i Civic Center si è puntato alla costruzione di una fisionomia precisa, con la presenza di un coordinatore, il coinvolgimento attivo delle famiglie, l’aggregazione della domanda pagante e non pagante in chiave conciliativa. Il gruppo di lavoro si è consolidato come sede di pensiero e di confronto, anche attraverso la condivisione di strumenti operativi di lavoro.

Un risultato significativo è stata la costruzione di una connessione dei Civic Center con altre azioni di Fare Legami, prima fra tutte i Patti gener-attivi. In alcuni casi, infatti, sono state attivate delle doti-lavoro o dei Patti per lo svolgimento di funzioni come quelle di apertura, chiusura e pulizia dei locali che ospitano i Civic Center.

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Innovazione

La vera innovazione dei Patti Gener-Attivi è stata la costituzione e attivazione di Tavoli di coordinamento composti da soggetti pubblici e del privato sociale con il compito di definire le finalità del Patto, oltre a dover elaborare gli strumenti operativi, monitorare, valutare i risultati raggiunti e l’impatto sugli attori coinvolti (non solo sui beneficiari, ma anche sulla comunità sul sistema dei servizi).

L’elemento più innovativo introdotto dai Laboratori di Comunità è il fatto che tutti i soggetti coinvolti, siano essi pubblici, privati o del terzo settore, sono riusciti a operare anche al di fuori del proprio consueto perimetro. Portare i soggetti “fuori da sé”, sostengono gli operatori, ha aiutato a diminuire le dinamiche di competizione aumentando la cooperazione.

Tra i principali elementi di innovazione prodotti dall’azione Civic Center, invece, l’avvio dell’iniziativa “Famiglie Consapevoli”, nata con l’obiettivo di promuovere e sostenere gruppi formali e informali di genitori, a sostegno dei compiti familiari, educativi e di cura e a promuovere la rete di scambio sociale anche attraverso attività formative. Un altro elemento di innovazione consiste nell’adozione, fino ad oggi mai avvenuta nel territorio, di accordi di rete.

Cosa resta sul territorio

L’eredità principale lasciata dalla sperimentazione dei Patti Gener-Attivi è il modello creato e messo a punto durante il triennio, che è diventato parte della nuova programmazione sociale del territorio provinciale. Nei nuovi Piani di Zona lo strumento del Patto è entrato a pieno titolo come elemento caratterizzante il sistema dei servizi.

Uno dei principali “lasciti” dell’attività sul territorio sono i Laboratori di comunità che continueranno le loro attività con le modalità e il “marchio” Fare Legami.

Nel cremasco il Community maker è una funzione entrata nel piano di zona, sostenuta da risorse pubbliche.

Il ruolo di community maker non cambia, ma si raffina ed è sempre più percepito come risorsa.

Michela Oleotti

Dopo tre anni Fare Legami lascia una comunità che ha capito che la reciprocità dell’aiuto genera legami più forti e che i legami comunitari diventano, a loro volta, un fattore protettivo.

Perché la migliore risposta a una vulnerabilità che gira è una comunità che gira.