Da anni l’Italia attraversa una fase storica in cui l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro si manifesta in tutta la sua complessità, una situazione già critica su cui la pandemia ha impattato in maniera importante; a livello territoriale, inoltre, persistono rilevanti differenze nei tassi di occupazione. Segni di Futuro, uno dei progetti sostenuti dalla quarta edizione del bando “Welfare di Comunità” di Fondazione Cariplo ha l’obiettivo di orientare i giovani al mondo del lavoro ed è attivo in Valcamonica. Un territorio composto da 41 piccoli Comuni, che scontano una stagnazione economico-sociale, invecchiamento demografico e tassi di disoccupazione superiori alla media provinciale, con la conseguenza della fuga dei giovani verso le grandi città.
Nel progetto, sono stati coinvolti attori “non convenzionali” come il Coordinamento Territoriale Giovani e le aziende profit, per avvicinare il mondo delle imprese a quello della scuola, favorendo il coinvolgimento diretto dei ragazzi nei percorsi di coprogettazione, aumentando il protagonismo giovanile e la crescita delle loro competenze.
Gabriele Caponetto è uno dei coordinatori dei “Laboratori di competenza”, una delle azioni continuative di Segni di Futuro:
I ragazzi e ragazze sono spesso disorientati di fronte al futuro e a maggior ragione qui, la Valcamonica non è Manhattan ma un territorio di margine. E le aziende coinvolte nei nostri gruppi di lavoro ci hanno segnalato fin da subito una grande criticità: molto spesso i giovani che si presentavano ai colloqui o che iniziavano a lavorare in azienda erano professionalmente qualificati ma privi di competenze trasversali: capacità di lavoro in team, gestione del ritmo lavorativo, e altre abilità che esulano dalla formazione scolastica
Da qui l’idea dei Laboratori di competenza, spazi in cui sviluppare appunto queste abilità attraverso una parte teorica in aula e una parte pratica in azienda. Si tratta di un percorso molto diverso dal classico tirocinio o stage perché è costruito in maniera molto specifica. Ovvero: si individua un’azienda e un bisogno dell’azienda. Sulla base della necessità, si costruisce un progetto. Quindi si cercano i profili adatti, si stabilisce quale tipo di formazione può essere utile, qual è l’obiettivo che verrà affidato ai ragazzi e la durata del project work e, solo a questo punto, si parte con selezione dei ragazzi. Quindi parliamo di un’esperienza molto diversa e molto più qualificante di un classico stage in cui al giovane vengono affidate diverse mansioni: in questo caso, fin dal principio, esiste un team che ha un obiettivo molto preciso». Un’idea che ha dimostrato la sua efficacia: «abbiamo realizzato diversi laboratori. Il primo è stato con un’azienda tessile locale che stava sviluppando una nuova linea di abbigliamento. Non avendo risorse dedicate al marketing e alla comunicazione, coordinandosi con noi, hanno deciso di affidare la nuova linea a un gruppo di giovani. Abbiamo cercato profili coerenti che hanno seguito un corso di formazione con un consulente esterno e con una figura interna all’azienda. Finito questo periodo, si è costituito un piccolo team che ha lavorato alla campagna di lancio. Poi c’è stato un laboratorio con un’azienda che si occupa di gestione energetica e altri ancora». Il Covid ha reso più difficile il meccanismo ma non ha fermato le esperienze: «Ci siamo adattati alla situazione e siamo riusciti ad andare avanti comunque.
Io credo che il risultato più eclatante del progetto sia il fatto che, in quasi tutti i casi, almeno uno/a dei ragazzi che ha partecipato ai laboratori, sia poi stato assunto o comunque abbia continuato a collaborare con l’azienda. Anche quando l’azienda aveva messo in chiaro dall’inizio che non aveva la possibilità di assumere nessuno. Il fatto di avere la possibilità di apprezzare i ragazzi ha creato spazi lavorativi che l’azienda non aveva immaginato
Lucrezia Cotti Piccinelli, 20 anni, una delle ragazze che ha partecipato ai Laboratori di Competenza, racconta il suo percorso: «Dopo il diploma di ragioneria, stavo lavorando in una società di assicurazioni ma non ero entusiasta, sentivo che non era il mio campo. Una sera, era il febbraio del 2020, scorrendo Facebook, ho visto un post di Segni di futuro: cercavano quattro ragazzi/e per i laboratori di competenza: c’era una scheda informativa che spiegava tutto. L’ho letta e ho pensato: perché no? Ci provo. Così ho mandato la mia candidatura a due laboratori, uno dedicato all’agroalimentare e l’altro al turismo. Dopo un primo incontro conoscitivo con i referenti di Segni di Futuro ho fatto un corso online sui social e poi, qualche mese dopo, sono stata selezionata per un colloquio con il Consorzio Turistico di Darfo Boario Terme (DMO) e, insieme ad altre tre ragazze, ho iniziato a lavorare lì a luglio. Ci è stato affidato un progetto di riqualificazione della città, dovevamo sviluppare idee con differenti progettualità, come l’ideazione del logo turistico e in generale per valorizzare la città e il territorio per i turisti. Sono stati 4 mesi molto intensi e belli che mi hanno dato l’opportunità di imparare a lavorare in un vero team. All’inizio c’è stato qualche momento di difficoltà perché eravamo tutte ragazze molto giovani e con caratteri e idee diversi e non sempre eravamo d’accordo sul modo migliore per sviluppare un progetto, ma poi siamo riuscite a creare una bella sinergia, tra di noi e con l’azienda. Un altro aspetto che mi è piaciuto molto è che il laboratorio mi ha permesso di scoprire a fondo la Valcamonica che è la mia terra da sempre ma dove esistono molti luoghi misconosciuti e poco pubblicizzati. Una di noi ragazze è rimasta in azienda, io ora sto facendo un tirocinio in Comune. Mi sento ancora in una fase di esplorazione, non ho ancora deciso “che cosa farò da grande” ma mi sento più molto più solida di prima».
Continuiamo a pensare a nuovi progetti, in particolare a settori innovativi del mondo del lavoro. Vogliamo alzare lo sguardo e immaginare che cosa ci sarà da qui a 5, 10 anni, perché non basta orientare ma bisogna costruire