«Vorrei essere ringraziato». Nei gruppi di discussione con adolescenti con disabilità intellettiva, avviati all’interno del progetto Distanze Ravvicinate, sostenuto nella quarta edizione del bando di Welfare in Azione di Fondazione Cariplo, sono emersi molti bisogni ed esigenze dei ragazzi. Ma Silvia Facchinetti, la psicologa della cooperativa Lavorare Insieme, partner del progetto, che ha seguito i gruppi, ricorda in particolare questa frase.
«Essere ringraziati è un’esperienza comune per la maggior parte delle persone, ma non lo è per questi ragazzi, solitamente abituati a essere portatori di bisogni e non di risorse per gli altri».
Spesso un “grazie” è la risposta quotidiana a un’azione anche banale, come fare un acquisto al supermercato o pagare un caffè. Attività che questi ragazzi non sperimentano quasi mai nella loro vita: «mi ha colpito e sorpreso, più di altri bisogni che sono emersi come: “vorrei avere degli amici come i miei compagni” o “un giorno vorrei avere una casa e una fidanzata come mia sorella”» continua Silvia Facchinetti: «esistono autonomie sociali che sono indispensabili per raggiungere l’indipendenza e da qui siamo partiti. Come prendere un autobus da soli, o riuscire a stare in casa senza i genitori, o poter gestire anche piccole transazioni economiche».
Valerio Mari è il presidente di Lavorare Insieme: «nel disegnare “Posso fare da solo” ci siamo concentrati sulla necessità di potenziare competenze specifiche di autonomia declinata sia nell’accezione della vita quotidiana (life skills, come orientamento e utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico, utilizzo del denaro) ma anche sulla capacità di comunicazione sociale che si traduce nella possibilità di chiedere informazioni, poter fornire i dati personali, utilizzare il territorio per spostarsi e interagire con gli altri». Nei gruppi di discussione è anche emerso fortemente il bisogno di emancipazione dai genitori, e di costruire relazioni significative al di là del contesto familiare: «quando è presente la disabilità il contesto familiare è necessariamente molto schiacciante, i genitori inevitabilmente hanno timori e paure comprensibili perché la famiglia non può avere lo stesso guardo di distanza che è fondamentale per la riuscita del progetto di autonomia. Tutte le azioni di indipendenza comportano ovviamente dei piccoli rischi. Questo non significa che le famiglie non siano coinvolte, anzi il rimando che abbiamo avuto dai gruppi di discussione è sempre stato assolutamente positivo ed entusiasta e molte famiglie hanno costruito legami tra di loro».
«Il fatto di lavorare in gruppo è stato molto efficace» aggiunge Silvia «perché ha permesso di specchiarsi in difficoltà comuni, e magari anche in passioni comuni. Molti di questi ragazzi avevano un disturbo dello spettro autistico, per esempio erano quasi tutti appassionati a manga e playstation. All’inizio c’è stata un po’ di fatica perché non tutti erano disposti a riconoscersi nella fragilità dell’altro. Ma ci abbiamo lavorato. Perché se si riesce anche a tollerarla è più facile anche accettare la propria: per questo che è così potente il gruppo rispetto al lavoro individuale».
Distanze Ravvicinate aspira a rafforzare l’alleanza tra famiglie, servizi e comunità, per uscire dall’isolamento e per trovare risposte concrete dal confronto con gli altri, stimolando contesti in cui è possibile condividere problemi. In questo senso “Posso fare da solo”, nell’accompagnamento al progetto di vita delle persone con fragilità, progettato e gestito insieme ai ragazzi e alle famiglie, esprime compiutamente lo spirito del progetto che, fra gli obiettivi, ha proprio quello di facilitare la comprensione e l’uscita dalla dimensione di emarginazione per le famiglie e delle persone portatrici di fragilità (anche temporanee).
Alida è la mamma Di Giorgio, un ragazzo di 20 anni con diagnosi di autismo che ha partecipato ai gruppi di discussione e che ora prende parte a “Io posso fare da solo”: «crescendo per i ragazzi come Giorgio il confronto con il gruppo dei pari diventa sempre più faticoso e impegnativo. Finché sono bambini, possono partecipare ai laboratori, andare alle festicciole di classe, ma poi la differenza con gli altri ragazzi si fa sempre più evidente e il loro tempo libero rimane solo a carico delle famiglie. Giorgio quest’anno finirà le scuole superiori e sente i coetanei parlare di ragazze, patente, università. L’impossibilità di andare verso una vita adulta come gli altri è motivo di grande sofferenza. Non riesce a esprimerlo ma, molte volte, quando siamo insieme e vede un gruppo di coetanei mi dice “mamma hai visto quanti sono?”. Per questo il rapporto con i ragazzi che avevano le sue stesse difficoltà è stato molto importante, si trattava finalmente di uno scambio alla pari.
Le parole belle che mi vengono in mente e che lui ha cercato di esprimermi sono state: “sono finalmente solo, non ho sempre con me mamma, l’educatrice, l’insegnante” e “mi riconosco negli altri”. Lui magari me lo faceva capire dicendomi: “Sai che anche Daniele ripete sei volte le stesse cose come me?”, oppure “Ci siamo scambiati il numero di telefono”.
L’autonomia o la semi autonomia non è solo importante per il “dopo di noi” ma anche per il “durante noi”, io spero che Giorgio tra una decina d’anni possa avere una vita perlomeno semi autonoma, imparare che se anche non prenderà la patente potrà andare a Bergamo da solo col pullman, gestire i soldi. Per ora riesce ad andare e tornare da scuola col bus, ma l’obiettivo è poter fare la spesa da solo, fare la fila, saper orientarsi. La pandemia ha rappresentato un grande ostacolo ma lui ora è felice di poter partecipare al progetto. Il “da solo” è bello perché sei finalmente grande”».
“Posso fare da solo” è partito all’inizio di maggio, molti dei ragazzi che hanno partecipato ai gruppi sono presenti, come Giorgio, ma includerà anche ragazzi nuovi, racconta Valerio Mari: «si articola in due momenti: il “Laboratori dell’autonomia”, sei incontri complessivi con cadenza settimanale o quindicinale. I primi incontri più teorici per spiegare le azioni che si vogliono realizzare, i rischi, per decidere insieme le attività da fare e gli ultimi tre incontri più esperienziali in cui i ragazzi usciranno insieme all’educatore per prendere l’autobus, andare nei negozi, fare la spesa. Poi sono previste delle esperienze residenziali: week end in un appartamento della nostra cooperativa in cui i ragazzi insieme agli educatori e forse i volontari svolgeranno tutte le attività della vita quotidiana. Non è una vacanza, l’obiettivo è percepirsi adulti e stare in un luogo altro rispetto alla famiglia e con altre persone». “Posso fare da solo” è stata una delle campagne di raccolta fondi online gestito dalla Fondazione della comunità bergamasca, partner di progetto e referente dell’azione di Fundraiser, che ha avuto un grande successo e ha permesso di raccogliere oltre 3500 euro per non dover esporre costi alle famiglie.
La pandemia ha soltanto temporaneamente impedito ma non ha assolutamente arrestato il desiderio “di fare da soli”.