«Quando abbiamo iniziato a lavorare all’idea progettuale ci siamo accorti che nel nostro territorio erano vent’anni che non si faceva prevenzione e welfare di comunità per i giovani». A parlare è Roberta Lorenzini che ha coordinato Gioven-TU, uno dei progetti della terza edizione del bando Welfare di Comunità di Fondazione Cariplo, attivo nel Basso Mantovano a partire dal 2017. Gioven-TU nasce con l’intento di favorire l’inclusione sociale e restituire un ruolo attivo nella comunità ai giovani dagli 11 ai 25 anni. In questi quattro anni, grazie a una rete composta dai rappresentanti dei vari comuni e dagli operatori di alcune realtà del terzo settore (CHV; cooperativa Minerva; associazione Libra, CSV) in un territorio periferico e poco accogliente per i ragazzi, sono state realizzate 9 progettazioni di Rigenerazione Urbana (con 12 luoghi rigenerati) che hanno coinvolto circa 900 persone nelle diverse fasi di progettazione, partecipazione e durante gli eventi realizzati nelle aree rigenerate. Sono nati, in tutti i 6 comuni dell’Ambito Territoriale di Suzzara toccati dal progetto, i Social Point, luoghi fisici recuperati che sono diventati poli di aggregazione per i giovani e di emersione di idee della cittadinanza. Sono stati attivati i Gruppi Territoriali, gruppi di lavoro formati dai cittadini, dagli operatori del progetto, dai facilitatori di comunità, dai rappresentanti dei Comuni del distretto e dai giovani del territorio: spazi di co-progettazione e di governance in grado di rilevare in maniera costante i bisogni e le risorse della comunità. La sfida a cui Gioven-TU ha risposto è stato il passaggio da un welfare locale assistenziale a uno di presa in carico integrata delle nuove fragilità giovanili, con un’attenzione particolare all’attivazione della comunità. Gioven-TU ha lavorato sull’inclusione, sulla prevenzione del disagio, sull’orientamento lavorativo e scolastico e in tre anni ha riattivato 12 luoghi, coinvolto 92 aziende e raggiunto 21.000 cittadini di cui 610 partecipano attivamente alle azioni di progetto. Abbiamo chiesto a Roberta Lorenzini di raccontarci gli sviluppi più significativi, gli esiti, le storie più emblematiche ma anche i momenti difficili di Goven-TU.
Prima dell’inizio del progetto, quali erano i problemi principali del vostro territorio ai quali volevate dare una risposta?
La prima consapevolezza da cui siamo partiti nel 2017 è che, da tempo, come amministrazioni comunali e terzo settore, stavamo erogando prestazioni su bisogni primari o sociosanitari dei giovani: mancava un lavoro di prevenzione. O meglio: non si lavorava sul benessere in modo congiunto, non c’era una programmazione zonale ma tante iniziative singole. E lavoravamo soprattutto sulle situazioni di problematiche conclamate. Avevamo osservato che nel corso degli anni era in costante aumento il numero di minori sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria (o perché appartenenti a famiglie in difficoltà o per reati commessi). Noi agivamo sulla parte riparativa, ma per esempio non avevamo contatti con le scuole per iniziative rivolte a tutti i giovani ma solo sul caso particolare che appunto presentava una problematicità. Nel nostro territorio è inoltre presente un’alta percentuale di immigrazione straniera: ci sono molti ragazzi di seconda generazione che frequentano le scuole ma non sono del tutto inclusi. Questa era la situazione di partenza.
E ora, 4 anni dopo, che cosa è cambiato grazie agli interventi?
È cambiato innanzitutto il nostro modo di vedere le cose: ci siamo messi “un altro paio di occhiali”. Diciamo che prima il pubblico era il committente e il terzo settore l’erogatore di servizi. Grazie ai tavoli di lavoro e alla cabina di regia abbiamo iniziato a ragionare insieme prima sul problema e poi sulle ipotesi di azione.
E poi abbiamo “ascoltato” i giovani: nelle varie progettazioni non abbiamo calato dall’alto le iniziative ma cercato di capire quali erano i bisogni e le idee dei ragazzi del territorio e le abbiamo progettate insieme a loro.
Mancavano spazi di aggregazione e ora ci sono, grazie ai progetti di rigenerazione urbana, che hanno rivitalizzato giardini, botteghe, bar che sono diventati luoghi di incontro, co-working che hanno permesso lo sviluppo di progettazioni innovative e complesse come quella della Stampa 3D e dove si svolgono corsi di vario tipo. Gruppi di giovani dell’alternanza scuola lavoro dell’Istituto Manzoni di Suzzara hanno realizzato progettazioni locali come la Rigenerazione del Manico del Paiolo (un parco naturalistico abbandonato a sé stesso da diversi anni) o l’evento Gonzag-art, un open day insieme agli artisti locali. Mancavano percorsi strutturati di orientamento scolastico: i nostri facilitatori di comunità hanno lavorato con i dirigenti scolastici, le famiglie, gli insegnanti. Mancavano percorsi di orientamento al lavoro e li abbiamo attivati con le aziende del territorio e diversi ragazzi sono stati inseriti in tirocini professionali. Gli Informagiovani, che già operavano singolarmente nel tema ma ognuno demandando alle capacità dei singoli operatori, propongono oggi strumentazioni e un metodo condiviso e le aziende ora si muovono nella direzione dei giovani con l’intento di farsi conoscere e attrarli.
La situazione pre-Gioven-TU vedeva dei giovani fragili, in età e con competenze minimamente appropriate per approcciarsi al mondo del lavoro. Da questo contesto è nata la sperimentazione dei tirocini realizzati in contesti “protetti”, per valorizzare le risorse dei ragazzi e monitorare le aree di criticità.
In ogni Comune è stato istituito un gruppo territoriale a cui è partecipano l’amministrazione comunale, le associazioni del territorio, gli oratori, i singoli cittadini. Da qui nascono iniziative, eventi, azioni, per esempio è nato il gruppo informale di giovani “Peg&Go-Pensa, Progetta, Partecipa” a Pegognaga. E si è ricominciato a fare prevenzione nelle politiche sociali.
Tra tutte le innovazioni introdotte grazie al progetto, qual è stata la più significativa?
La nascita dell’azienda speciale consortile del territorio suzzarese “Socialis”. Fino a fine 2018 ogni Comune del territorio gestiva in proprio i servizi sociali ed era fallito diverse volte il tentativo di fare un consorzio, si lavorava insieme sul piano di zona ma non era mai stato fatto un discorso coordinato. Gioven-TU ha messo in moto un processo che è sfociato nella decisione dei Comuni di costituire l’azienda speciale consortile, a cui è stata trasferita la gestione di tutti i servizi sociali ed è stata istituita l’area progettazione e sviluppo sociale.
Che cosa è accaduto che non era stato previsto?
L’interesse delle aziende del territorio era inaspettato. Siamo un distretto agricolo e meccanico importante, ma manca un’università e spesso i giovani che studiano altrove poi rimangono a lavorare fuori. Gli imprenditori della zona, che sono riuniti in una Consulta economica di area, ci hanno contattati. E abbiamo progettato insieme sia percorsi di orientamento scolastico che lavorativo. E anche un evento in cui le aziende hanno organizzato degli stand in cui presentavano la propria impresa ai ragazzi e gli studenti avevano la possibilità di intervistarli.
Cosa, per contro, non è accaduto e il progetto non è riuscito a realizzare?
Sinceramente non mi viene in mente nulla perché tutto quello che abbiamo previsto lo abbiamo realizzato, magari non nei tempi che ci eravamo prefissati. Però naturalmente ci sono stati anche momenti complicati.
Quali sono state le principali difficoltà?
Per quanto riguarda l’azione di rigenerazione è stato molto faticoso lavorare con gli uffici tecnici perché la nostra tempistica è molto distante da quella di chi gestisce il patrimonio pubblico. Di fatto una rigenerazione che doveva durare alcuni mesi è durata un anno e mezzo. E non è stato sempre facile anche il lavoro della cabina di regia perché creare sinergie con attori diversi è un processo complesso.
C’è una storia che più di ogni altra racconta la trasformazione che il progetto ha generato?
Mi viene in mente la storia di Fatima, una ragazza di seconda generazione di origini pakistane. Era conosciuta dai servizi sociali e stava vivendo un momento non facile: era chiusa in casa, non riusciva a sentirsi parte della comunità e ad avere relazioni con i coetanei. Dopo un’esperienza di volontariato con noi, è stata inserita in un percorso di inserimento lavorativo in un bar e si è riscoperta capace e fiduciosa. Ma è stato molto bello anche il progetto della redazione “Lo Strozzi sul pezzo”. Gli studenti dell’Istituto Strozzi di Palidano sono stati seguiti da un facilitatore e dal nostro responsabile della comunicazione e hanno realizzato una redazione di istituto, un progetto po’ diverso dal classico giornalino scolastico perché subito si è arricchito di interviste a esperti su vari temi, come parità di genere, mafia. Sul nostro territorio ha rappresentato una bella novità.
Quali sono i progetti futuri a cui state pensando, innescati grazie anche all’esperienza e apprendimenti del progetto?
Stiamo lavorando molto con i giovani di seconda generazione, con #2G Color My City, un progetto avviato dalle cooperative insieme a un gruppo di quindici ragazzi: l’obiettivo, in un’ottica di peer education, è che diventino tutor di altri ragazzi e che possano fare da ponte tra le famiglie e i ragazzi di seconda generazione che non si sentono parte della comunità e la comunità stessa. I ragazzi hanno partecipato a una formazione per essere inseriti nel servizio sociale e diventare protagonisti di un percorso di mediazione culturale. Le cooperative, assieme a sei associazioni di volontariato, stanno anche realizzando “Tu-ICS” con lo scopo di avvicinare i giovani all’impegno volontario e, già in questi mesi di pandemia, si è lavorato per il sostegno telefonico alle persone sole e ora per la realizzazione dei Centri Estivi. In generale, l’aspetto più bello è che continuiamo a lavorare in rete, le associazioni di tutti i Comuni partecipano congiuntamente ai bandi e la coprogettazione prosegue.
Mattia Braglia, 20 anni, ha fondato “Lo Strozzi sul pezzo”
Durante la terza liceo sono stato eletto rappresentante di istituto nella mia scuola, lo “Strozzi” a Palidano di Gonzaga. Avevamo in mente di organizzare una grande assemblea di istituto, con l’idea di invitare esperti a parlare di vari temi, sia di attualità, come l’omofobia, ma anche di orientamento all’università. Ma ci siamo accorti che ci mancavano contatti e competenze. Il preside ci ha messi in contatto con i facilitatori del progetto Gioven-TU e così è nata la nostra collaborazione. Mentre organizzavamo insieme l’assemblea è nata l’idea del giornale “Lo Strozzi sul Pezzo”. Si è costituita la redazione e il progetto Gioven-TU ci ha messo a disposizione un bellissimo ufficio. L’avventura del giornale è andata avanti tre anni, nel frattempo abbiamo organizzato altre assemblee e abbiamo partecipato alla progettazione di spazi sul territorio, come quello dell’emporio per vendere prodotti locali, o quello a Suzzara per creare un luogo polifunzionale per i giovani. Quello che mi è rimasto del tre anni con Gioven-TU è innanzitutto una grande gratitudine perché Gioven-TU ha deciso di puntare sui giovani, e sembra facile a dirsi ma non lo è all’atto pratico perché i giovani sono molto incostanti, a volte anche apatici nel nostro territorio. Ci hanno motivato moltissimo e sono stati un supporto pratico fondamentale negli aspetti più tecnici, come la sicurezza, la burocrazia, perché organizzare un’assemblea con 1500 studenti sembra una cosa facile ma non lo è. Grazie al progetto si è costruito un grande ponte con le istituzioni: spesso in passato ci eravamo scontrati con i presidi che ci dicevano che una cosa semplicemente “non si poteva fare”. Insieme abbiamo costruito relazioni con la scuola, con i Comuni. Ci hanno messo a disposizione i loro contatti e le loro competenze, per esempio quando si trattava di invitare gli esperti per i laboratori delle assemblee: quando abbiamo realizzato quello sulla mafia è venuto un parente di una vittima e c’era da organizzare la scorta. Grazie a loro abbiamo imparato a organizzare i piani di sicurezza. Ci hanno aiutato a trovare altri giovani sul territorio che, come noi, avevano voglia di fare cose. E tutto quello che abbiamo fatto lo abbiamo fatto insieme, perché non ci hanno semplicemente insegnato, ma “hanno fatto insieme a noi”.
Perché investire sui giovani e sostenerli per aumentare il loro protagonismo è il passo fondamentale per costruire il futuro di un territorio.