Sergio ed Emilia Caccia avevano una scuola di ballo a Seriate: insegnavano liscio, boogie e latino-americano. Ma a soli 68 anni Emilia si ammala di Alzheimer. Quando Sergio la porta all’Alzheimer Café di Seriate, aperto grazie al progetto Invecchiando si impara (a vivere), sostenuto nell’ambito della terza edizione del programma Welfare di Comunità di Fondazione Cariplo, Emilia non vuole mai fare ginnastica, una delle attività che vengono proposte nel Caffè. Poi un giorno succede una cosa, la racconta Sergio:
Emilia si rifiutava sempre di fare ginnastica, allora ho detto agli operatori: facciamola ballare. Abbiamo messo la musica di un tango, e io e lei abbiamo incominciato a ballare. Tutti gli altri si sono messi intorno a noi e battevano le mani. Nello spazio della danza, era tornata giovane, di nuovo la mia Emilia, l’Alzheimer sembrava non esistere più. Da quel giorno tutte le volte che c’era ginnastica, ballavamo. Ho costruito tante amicizie, è facile quando condividi lo stesso problema e molte sono durate anche ora che non vado più, ci sentiamo spesso via whatsapp, anche solo per darci il buongiorno
Invecchiando si impara (a vivere) nasce dalla consapevolezza che l’invecchiamento è un fatto della vita di tutti che coinvolge una comunità nel suo insieme, non solo l’individuo, il caregiver e i servizi. Si sviluppa nel territorio degli ambiti di Seriate e Grumello del Monte, in provincia di Bergamo, per offrire agli anziani la possibilità di mantenere la propria autonomia e vivere il più a lungo possibile nel proprio mondo, con i propri cari o con i propri ricordi, potenziando un sistema di risposte per aiutare gli anziani a vivere in salute presso il loro domicilio, sensibilizzando e mobilitando la comunità a prendersi cura di loro.
Dal 2017, anno in cui è stato lanciato, ha realizzato 5 Botteghe della Domiciliarità che hanno monitorato 1800 cittadini, 4 Alzheimer Café che hanno seguito 39 utenti e 29 caregiver coinvolgendo 25 volontari, 2 alloggi di Housing Sociale che hanno accolto 17 inquilini. Il progetto ha anche organizzato 100 eventi sull’invecchiamento attivo a cui hanno partecipato più di 600 cittadini e ha raccolto con attività di fundraising 84.631,40 euro. Dal progetto sono nate anche figure come gli infermieri di comunità e le sentinelle del territorio, oltre a molte iniziative di prevenzione, socializzazione e di stili di vita sani, il tutto accompagnato da iniziative di comunicazione e sensibilizzazione sperimentali che hanno coinvolto altri mondi come il cinema, i teatri, la fotografia, e le aziende profit. Molte cose sono cambiate sul territorio con Invecchiando si impara (a vivere), progetto ideato e realizzato da un partenariato composto dai due Ambiti territoriali di Seriate e Grumello, 3 cooperative sociali (Universiis, Namastè, P.A.E.S.E.), Fondazione della Comunità Bergamasca, Fondazione Madonna del Boldesico e l’Asst Bergamo Est – Ospedale Bolognini di Seriate, in stretta collaborazione con decine di realtà del territorio.
Stefano Rinaldi, direttore dell’Ambito di Seriate nonché responsabile del progetto, ci racconta quali.
Prima dell’inizio del progetto, quali erano i problemi principali del vostro territorio ai quali volevate dare una risposta? Nei nostri 19 comuni non c’erano dati in controtendenza rispetto allo scenario generale italiano, non c’erano quindi più anziani, però c’era un problema specifico di caratteristiche del nostro territorio: anziani con pochi figli o lontani, comunità che non vivevano più situazioni di vicinato, non raccordate tra di loro. E in un contesto di questo tipo un problema di parziale non autosufficienza diventa molto grave. La casa è il luogo dove si costruiscono le proprie sicurezze, a maggior ragione per una persona anziana, e l’obiettivo del nostro progetto era fare in modo che gli anziani potessero vivere il più a lungo possibile a casa propria. Perché si realizzasse, era necessario potenziare i servizi di assistenza e supporto al vivere da soli.
E ora, 4 anni dopo, che cosa è cambiato grazie agli interventi? Innanzitutto, e questa è una ricaduta indiretta del progetto ma importante, tutti gli attori coinvolti in questo progetto, a partire dagli operatori, hanno preso coscienza che esistono modi nuovi per approcciarsi ai bisogni del territorio. Sembra una cosa minima invece ha un grosso valore: eravamo abituati a lavorare sedendoci nel nostro ufficio, costruendo un bando e assegnandolo a un fornitore. Il progetto ci ha insegnato a fare un’analisi del bisogno condivisa, a programmare insieme risorse e interventi
Che cosa è cambiato sul territorio invece è che adesso esistono comunità più attente e che proteggono meglio gli anziani: è aumentata la rete di protezione sociale
Grazie per esempio alle Sentinelle informali sul territorio, che possono anche essere negozianti, come i panettieri, come accade nel nostro progetto; figure come gli infermieri di comunità, che sono in grado di garantire un monitoraggio sanitario leggero. Figure tradizionali come i medici di base non sono sempre sufficienti per intercettare le situazioni di bisogno: per questo abbiamo coinvolto i commercianti, i farmacisti, le associazioni di volontariato per costruire una rete in grado di individuare tra gli anziani le situazioni di fragilità e per indirizzarli nei luoghi in cui possono essere aiutati. A proposito di luoghi, Il progetto ha dato vita alle Botteghe di Domiciliarità: si tratta di sportelli rivolti in particolare alla popolazione anziana ma anche a tutte le persone che hanno bisogno di servizi di supporto al vivere da solo: pasti a domicilio, assistenza domiciliare o infermieristica. Il progetto ha finanziato anche l’avvio di due co-housing per anziani, ovvero una soluzione intermedia per chi non può più stare a casa da solo e ha bisogno di un supporto leggero, trovando anche socialità con altri “coinquilini”. Abbiamo aperto inoltre 4 Alzheimer Caffè: luoghi di incontro per le famiglie, i caregiver insieme ai loro anziani, dove è presente un’equipe di psicologi, infermieri, educatori, medici e operatori sociosanitari. Ma dove si respira un’atmosfera accogliente e informale.
Quando è arrivata la pandemia, il fatto di aver già costruito delle reti di aiuto è stato fondamentale per il nostro territorio, duramente colpito dal virus. Ad esempio le Botteghe della Domiciliarità hanno funzionato come UTES (Unità Territoriali di Emergenza Sociale). A marzo e ad aprile 2020, durante il primo lockdown, c’erano anziani soli a casa che avevano bisogno di tutto. Il fatto di aver già avviato le Botteghe ci garantiva una infrastruttura, certo abbiamo dovuto potenziarle moltissimo ma contavamo su una modalità aggregata, che già coinvolgeva molti volontari
Tra tutte le innovazioni introdotte grazie al progetto, qual è stata la più significativa? Io credo gli Alzheimer Caffè: ne dovevano nascere solo due, invece ne abbiamo aperti quattro. Ci siamo accorti che c’era una necessità molto forte di luoghi in ogni comunità dove aiutare situazioni non necessariamente di demenza, ma anche di solitudine. Quando anche io ho partecipato agli incontri, mi ha colpito il clima che c’era: non era una somma di sofferenze ma al contrario si respirava un’atmosfera di grandissima serenità.
Che cosa è accaduto che non era stato previsto? Cosa, per contro, non è accaduto e il progetto non è riuscito a realizzare? Avevamo progettato di realizzare degli sportelli per far conoscere i servizi dedicati agli anziani nel territorio anche nelle aziende. Pensavamo ai famigliari dei dipendenti, ma alla fine questa partita con il mondo aziendale si è trasformata in semplice materiale informativo. Probabilmente il panorama dei bisogni dei dipendenti delle aziende è molto più variegato e non si esaurisce nel problema dell’invecchiamento.
Inattesa invece è stata l’esplosione delle Botteghe della Domiciliarità durante l’emergenza Covid. Non erano più le persone a venire in bottega ma le botteghe che andavano a casa della gente
Quali sono state le principali difficoltà? Lavorare insieme è facile a dirsi, ma difficile da mettere in pratica. Ci siamo relazionati alla pari tra diversi soggetti che avevano diverse appartenenze, professionalità e diversi livelli, tecnici e politici, non siamo abituati a questa modalità di lavoro. Lavorare in modo circolare e non gerarchico è stata la sfida più grossa, ma anche una sfida molto bella.
Che cosa resta sul territorio che prima non c’era? Una comunità più attenta agli anziani, e questa è la cosa principale. Dei luoghi: le Botteghe, gli Alzheimer Caffè, il co-housing. Degli operatori più “prossimi” e formati su questo nuovo approccio di comunità, come gli infermieri di comunità e le sentinelle del territorio. I percorsi della salute nei parchi e i gruppi di cammino una volta alla settimana perché tra gli obiettivi del progetto c’era anche la promozione degli stili di vita sani, e allo stesso tempo contrastare la solitudine. E nuove consapevolezze e modalità di lavoro per noi. La cosa principale però è che resta una comunità più attenta agli anziani. Questo è stato il risultato anche di un’azione innovativa di sensibilizzazione e comunicazione. Tra le iniziative realizzate, la mostra fotografica “Vecchio a chi?” con oltre 100 anziani intervistati e fotografati, la campagna di immagini nelle bustine di zucchero in collaborazione con l’azienda di torrefazione locale Ravasio Caffè e l’ultimo “nato”, il cortometraggio “Pinocchio” con la regia di Emilio Guizzetti, storia di un’amicizia tra due anziani durante la pandemia all’interno di un alloggio di housing sociale, storia che ora girerà l’Italia in festival cinematografici.
Quali sono i progetti futuri a cui state pensando, innescati grazie anche all’esperienza e apprendimenti del progetto? Stiamo lavorando per confermare quello che già esiste, che è già molto, e poi vogliamo ampliare l’esperienza degli Alzheimer Café alle persone che non sono in grado di uscire di casa. L’idea è costruire un Alzheimer Caffè Diffuso, con un supporto per il malato e per il caregiver a casa loro. E poi vorremmo allargare l’offerta della badante di condominio. Esiste già nel co-housing però ci siamo resi conto che magari ci sono famiglie, che abitano in appartamenti normali, che necessitano solo di qualche ora. Aggregare più famiglie che vivono vicine e che possono essere aiutate dalla stessa persona può essere un grande aiuto, economico e non solo.
Il progetto Invecchiando si impara (a vivere) ha permesso di imparare davvero qualcosa in più sugli anziani e su quali siano i bisogni e le priorità connesse all’invecchiamento. Ora, nel territorio della Bergamasca esiste una rete di strutture ma anche di luoghi informali, di operatori professionali nonché di farmacisti, panettieri, vicini, in grado di aiutare i propri anziani a rimanere nella loro casa, a curare i propri affetti, a coltivare i propri interessi: a vivere serenamente.