Mettere al centro la comunità per rivoluzionare la gestione dei conflitti. Contatto, uno dei progetti della terza edizione del bando “Welfare di comunità” di Fondazione Cariplo, attivo nel territorio comasco e di Lomazzo-Fino Mornasco, nasce da una grande sfida. Patrizia De Filippi, la coordinatrice del progetto e Monica Mordente, referente di Asci, l’ente capofila, la raccontano partendo dal principio: «La giustizia riparativa in Italia è ancora, e lo era ancora di più nel 2017 quando abbiamo lanciato il progetto, pensata quasi esclusivamente nell’ambito penale.
La nostra sfida è stata quella di portare l’approccio riparativo all’interno della comunità; in genere la giustizia riparativa si occupa solo di far incontrare autore di reato e vittima, di far comprendere all’autore la sofferenza della vittima e di dar voce anche all’autore, ma vittime e rei non sono gli unici attori dell’approccio riparativo perché c’è un terzo attore ed è la comunità. Il nostro tentativo è stato quello di riportare il danno e le offese, ma anche la conflittualità, all’interno delle comunità e affrontarle insieme
In questo modo si può fare anche prevenzione perché conflittualità importanti possono generare reati. Era una grande sfida, bisognava trovare nuove parole e nuove metodologie per tradurre a livello sociale quello che esisteva a livello penale. L’European Forum for Restorative Justice (Forum Europeo di Giustizia Riparativa, una rete internazionale di soggetti attivi nel campo della giustizia riparativa che riunisce professionisti, accademici e rappresentanti politici) di cui facciamo parte ci è stato di grande aiuto perché questo approccio, che era innovativo per l’Italia, era già stato messo in pratica in diverse esperienze in altre nazioni». Contatto (un partneratiato composto da Asci, Comune di Como, Università degli studi di Bergamo, Università degli studi di Insubria, CSV Insubria, Cooperativa lotta contro l’emarginazione onlus, Associazione culturale Formattart, Ars, Consultorio Familiare Icarus s.c.a.r.l; Cooperativa sociale Questa Generazione, Consorzio Concerto, CSV Monza Lecco, Nucleo Specialistico Penale Minorile), oltre a identificare nelle scuole, luoghi simbolici per la comunità, il punto di partenza per costruire comunità riparative, ha individuato alcuni territori più critici in cui iniziare la sperimentazione.
Prima dell’inizio del progetto, quali erano i problemi principali del vostro territorio ai quali volevate dare una risposta? In fase di analisi del bisogno abbiamo individuato un quartiere a Como (Rebbio) e due paesi nella zona di Lomazzo particolarmente conflittuali. A Lomazzo era in atto una grossa contrapposizione tra un gruppo di giovani che stazionavano nella zona della stazione e i cittadini. Fino a quel momento il Comune di Lomazzo aveva tentato di spostarli ma senza grandi esiti. A Rovellasca invece c’era un condominio popolare in cui erano presenti grosse conflittualità tra gli abitanti. A Rebbio il problema riguardava un intero quartiere: c’erano scontri tra gli abitanti e i ragazzi di una baby gang, alcuni di loro erano in carico alla giustizia penale. In generale i bisogni contrapposti generavano sofferenze e conflittualità.
E quali sono le azioni che avete messo in campo per contrastare le situazioni di conflitto? In questi territori abbiamo costituito gruppi da 15 a 25 persone che abbiamo chiamato “Corpi intermedi” composti da cittadini a cui, in una prima fase, abbiamo proposto percorsi di formazione e sensibilizzazione sull’approccio riparativo con l’obiettivo di costruire piccole comunità a orientamento riparativo, di trasformarli in antenne del territorio, per individuare e segnalare le conflittualità più accese, ogni territorio ha la sua.
Nello stesso tempo ci siamo rivolti alle scuole perché se si sensibilizzano gli studenti, i genitori e gli insegnanti sensibilizziamo la comunità. Dopo la fase di formazione, abbiamo attivato i dialoghi di comunità, ovvero momenti di incontro tra un autore di reato, uno o due facilitatori e cittadini che si confrontano su un problema specifico; i percorsi riparativi individualizzati che prevedevano sempre l’incontro tra autori di reato, facilitatori e uno o due cittadini, ma in questo caso l’autore di reato era uno solo; e i Circle, ovvero incontri che oltre agli altri attori includevano anche le vittime.
Abbiamo anche aperto luoghi di incontro e ascolto delle vittime, uno a Rebbio e uno a Rovellasca, si chiamano “Passaporta” e sono spazi fisici di approccio riparativo, in cui le vittime possono incontrare gli operatori del progetto, facilitatori, psicologici ed educatori. Sono aperti anche ai famigliari di autori di reato perché anche loro sono vittime, tutte le persone connesse a un reato sono coinvolte nella sofferenza che questo genera. Il Passaporta di Rovellasca è stato integrato nell’offerta dei servizi del Comune. Il lavoro con le scuole, che ha coinvolto sette istituti, è stato costruito con la stessa logica dei corpi intermedi. Abbiamo realizzato laboratori di formazione con i genitori, gli insegnanti e gli studenti in una prima fase separatamente e poi incontri congiunti di racconto reciproco di quello che era emerso nei laboratori. Purtroppo nelle scuole è molto raro che ci si incontri per parlare di un conflitto in atto, succede solo quando “c’è il botto”.
Siamo abituati a dare molto spazio a chi compie l’azione, come per esempio un atto di bullismo, ma siamo meno preparati sul come coinvolgere tutti gli attori per far modo che questo non accada
E ora, quattro anni dopo, che cosa è cambiato in questi territori grazie agli interventi? Nell’Istituto Comprensivo di Mozzate è stato introdotto un “regolamento riparativo”: le infrazioni che compiono i ragazzi non sono più trattati in termini di disciplina, con un modello “ti sospendo” ma in un ‘ottica riparativa. Se per esempio accade un’azione bullismo gli insegnanti coinvolgono da subito il bullo e la vittima. Nel giornalino scolastico è stata anche inserita la “Rubrica riparativa” e i docenti ci hanno comunicato che, nel confronto con le altre classi, tra i ragazzi che hanno seguito il percorso promosso dal progetto emerge una solidità dei rapporti nella classe.
I corpi intermedi sono ancora attivi e saranno coinvolti nella definizione di due piani di zona, sono diventati patrimonio di questi territori ed è cambiato il punto di vista con cui si guarda ai conflitti. Non possiamo dire che adesso non ci sono conflittualità, ma il modo in cui i cittadini le affrontano è diverso.
Per esempio a Como poco tempo fa c’è stato un conflitto tra alcune associazioni di cittadini No-Vax e gli organizzatori di una fiera che hanno richiesto il Green Pass per poter partecipare. I corpi intermedi hanno proposto un Circle e le parti in conflitto hanno accettato di partecipare. Poi i percorsi riparativi sono stati integrati nel Protocollo di Intervento nell’ambito del penale minorile ed è prevista la loro inclusione a livello provinciale nei Piani di Zona che interessano il progetto. Il progetto nel tempo è riuscito a raggiungere 9776 cittadini e 226 persone sono coinvolte attivamente nelle azioni che realizziamo in una rete composta da 139 realtà.
Tra tutte le innovazioni introdotte grazie al progetto, qual è stata la più significativa? Noi pensiamo proprio i corpi intermedi perché hanno davvero reso le comunità più attente. Ma anche i dialoghi di giustizia e i Circle perché se guardiamo la letteratura su questi temi è molto raro che avvengano incontri che, oltre alle vittime e i rei, includano i cittadini.
Che cosa è accaduto che non era stato previsto? Che cosa, per contro, non è accaduto e il progetto non è riuscito a realizzare? Una cosa molto bella che non avevamo previsto è che una parte di questo partenariato desiderasse lavorare insieme in modo continuativo, spesso se finisce un progetto finisce una relazione. Invece il progetto è stato “riparativo” anche per noi, ha generato il desiderio di continuare a collaborare e lavorare insieme. Siamo stati invitati a presentare la nostra esperienza di giustizia di comunità all’interno del Gruppo delle città riparative del Forum Europeo. Abbiamo una gran voglia di continuare a fare questa cosa e questo non era previsto, molti di noi non si conoscevano neanche. Non sappiamo dire che cosa il progetto non è riuscito a realizzare, magari alcune cose non sono andate come avevamo previsto, ma era una sperimentazione davvero molto ambiziosa ed è normale.
Quali sono state le principali difficoltà? Ce ne sono state diverse. Intanto il tema in sé: quando abbiamo iniziato spesso ci scontravamo con la logica: “ha commesso un reato, deve pagare con il carcere e punto”. La logica dell’ascolto tra le parti è impegnativa, è stato difficile farla passare a livello di cittadini. Anche i corpi intermedi facevano fatica, spostarsi da un approccio solo punitivo a uno che attribuisce responsabilità alla comunità non è semplice. Per esempio se un ragazzo minorenne compie un reato, è difficile far capire alla comunità che quel ragazzino è anche un po’ tuo, siamo ancora lontani dalle logiche della cittadinanza attiva. Poi anche il fundraising in principio è stata un’azione complessa: donare per un bambino che ha fame è facile, donare per un progetto di giustizia riparativa è un altro, perché si tratta di un tema molto meno immediatamente comprensibile. La svolta è stata lo spettacolo teatrale su Nelson Mandela che abbiamo proposto al territorio e alle scuole, con i proventi dello spettacolo siamo riusciti a raccogliere più di 100.000 euro. La cosa bellissima è che ora lo spettacolo prosegue la sua vita in autonomia e continua a essere messo in scena a prescindere da noi.
C’è una storia che più di ogni altra racconta la trasformazione che il progetto ha generato? In un quartiere di Rebbio durante il progetto un ragazzo è stato investito da una macchina e ucciso. Il corpo intermedio attivo in quel quartiere si è fatto promotore di una serie di azioni per ricordare il ragazzo in una logica riparativa e ha sostenuto la mamma coinvolgendo la comunità. Recentemente abbiamo inaugurato un “angolo riparativo”: una panchina disegnata da un architetto in memoria di Gaetano, finanziata dai soci della Coop del quartiere.
Che cosa resta sul territorio che prima non c’era? Le Passaporte, le pratiche riparative che sono state inserite nei protocolli di intervento, il regolamento disciplinare riparativo. Le scuole del territorio sono consapevoli che se c’è un conflitto grosso in atto possono rivolgersi a noi. E il gruppo di lavoro che resiste anche se il progetto finito. Quali sono i progetti futuri a cui state pensando, innescati grazie anche all’esperienza e apprendimenti del progetto? Con altri finanziamenti regionali il progetto prosegue tutte le sue azioni. Vogliamo inoltre potenziare il lavoro con le vittime costruendo protocolli anche con le forze ordine nei pronto soccorso, perché sono loro ad avere i primi incontri con le vittime.
Carmen Pagani è una cittadina che fa parte dei “Corpi Intermedi”: «quando è iniziato il progetto ero Assessora ai Servizi Sociali del Comune di Lomazzo. Avevamo un problema con i ragazzi della stazione, che erano molto malvisti dalla comunità. Grazie al progetto, attraverso i Circle, abbiamo imparato come dialogare con questi ragazzi, a confrontarci con loro non come figure istituzionali, a capire quali erano i loro bisogni. Avevano bisogno di spazi, e di esprimersi: con i graffiti, con la musica, con lo skateboard. Abbiamo organizzato insieme agli educatori diverse attività per coinvolgerli: incontri sul tema della droga, sul gioco d’azzardo e molte altre. Ora anche il paese non li vede più come ragazzi “irrecuperabili”. L’altro pezzo importante del progetto Contatto è stata l’attività con il Tribunale. Abbiamo partecipato a diversi incontri di giustizia riparativa. In un caso ci siamo confrontati con alcuni ultras del Como. Abbiamo imparato tante cose parlando con loro: noi abbiamo portato la paura che infondono nella popolazione e insieme abbiamo trovato un punto di contatto nell’amore per la città. Nella loro visione difendere Como significa attaccare Varese, noi abbiamo cercato di far passare il concetto che amare una città non significa colpirne un’altra.Non sono più assessora, ma continuo a far parte dei Corpi Intermedi e con me l’ex sindaco di Lomazzo. Credo moltissimo in questo progetto e adesso stiamo cercando di unire il gruppo di Rebbio con quello di Lomazzo: più siamo più competenze e, soprattutto, accoglienza circolano nel nostro territorio.