All’inizio sembrava difficile. Invertire il movimento, trasformare scintille in luci, spazi dismessi in luoghi di opportunità, solitudini in moltitudini. Ma quasi 6 anni dopo (e 5700 cittadini coinvolti, 10 luoghi riattivati, 55 aziende che hanno partecipato attivamente alle iniziative di progetto, 40 nuove figure professionali formate e quasi 100.000 euro raccolti con il fundraising) Sbrighes, uno dei progetti sostenuti dalla terza edizione del bando Welfare di Comunità, può dire di aver vinto la sfida.
Sbrighes nasce in un territorio tra le montagne della Valtellina sempre più spopolato, che sperimenta da molti anni il graduale abbandono della popolazione. I suoi abitanti, soprattutto le fasce più giovani, vanno altrove, in cerca di lavoro, stimoli, occasioni.
Abbiamo chiesto a Elisa D’Anza, responsabile di Sbrighes (una rete di soggetti pubblici e del privato sociale dell’ambito di Tirano), quali erano i principali problemi del territorio quando il progetto è cominciato: «Eravamo consapevoli che il nostro territorio stava perdendo di attrattività. Molti se ne andavano e chi restava viveva una condizione di isolamento sociale, le persone si sentivano sempre più sole». Per progettare soluzioni siamo partiti dalle risorse di futuro del territorio. Ci siamo fatti questa domanda: “Quali sono le risorse?” e ci siamo concentrati sui giovani e sulle giovani famiglie, che sono stati sempre al centro del progetto sia come beneficiari che come promotori, rappresentando quindi concretamente il valore della loro presenza e la necessità di investire sul loro potenziale. L’altra domanda fondamentale era: qual è il motivo che spinge un giovane a restare? Il lavoro, naturalmente. Abbiamo così scelto i temi su cui agire, da una parte le opportunità professionali, dall’altra la formazione. Allo stesso tempo per costruire una famiglia devono esserci delle condizioni che lo permettono, era quindi necessario progettare un welfare favorevole alla gestione dei carichi di cura, e quindi lavorare sul tema della conciliazione. In ultimo la comunità, perché restare significa investire nella propria comunità, costruire un legame con il territorio, nelle modalità che ognuno ritiene più congeniali.
La scommessa era quella di uscire da un sistema di welfare tradizionale che risponde alle fragilità per far germogliare un welfare che agisse da leva attrattiva per il territorio, che desse alle persone la possibilità di restare
Individuati i due assi principali (Giovani: formazione e lavoro) e Famiglie (carichi di cura), Sbrighes prende il via: «Molto spesso chi aveva fatto la scelta di restare aveva abbassato le sue aspettative, aveva fatto compromessi e rinunciato a sogni. Ma il territorio in sé aveva delle risorse che non erano conosciute e valorizzate. Quindi abbiamo pensato di aiutare i giovani a conoscere l’offerta del territorio, creando connessioni con le scuole e con le aziende per orientare consapevolmente le competenze verso il tessuto produttivo della zona perché se mentre studio capisco dove il mio territorio è pronto ad accogliere competenze non farò un percorso di studi completamente scollegato». Alcuni esempi che hanno funzionato molto bene sono stati: i progetti start-up premiati al Festival del Lavoro e che oggi rappresentano delle realtà economiche territoriali (es. Bicicletta Rinaldi, Butega Valtellina, Progetto Filiera Bosco-Legno), le tesi e ricerche dei ragazzi che hanno supportato le scelte di alcuni enti istituzionali (es. progetto Marketing territoriale, ricerca osservatorio), le idee ideate con gli hackathon (es. la piattaforma Intraprendere in Montagna).
Sbrighes individua anche dei luoghi da trasformare in centri propulsori di connessioni:
c’erano due luoghi che anche simbolicamente rappresentavano la perdita di attrattiva del territorio e abbiamo detto: proviamo a vedere se riescono a diventare spazi che favoriscono l’occupabilità, che rendono qualificanti i percorsi dei giovani
A Tirano c’era un vecchio ufficio abbandonato dell’Agenzia delle Entrate. Lì è nato il Local Hub, che è stato rigenerato diventando luogo di formazione e di connessione tra le aziende e i giovani ma anche un luogo di comunità per tutti perché è stato utilizzato anche da famiglie e associazioni del territorio. In una scuola dismessa nel comune di Mazzo di Valtellina abbiamo aperto il Co-factoring, un’officina di comunità nata con l’obiettivo di innestare l’elemento digitale nelle competenze dei giovani durante il loro percorso di studi e che poi si è aperta ad accordi di collaborazione con aziende locali artigiane (falegnamerie, gioiellerie, meccanica…) per innovare i loro processi produttivi. I ragazzi della scuola “Pinchetti” di Tirano sono stati coinvolti fin dalla fase di progettazione, l’Istituto ha aderito in modo importante sia al Local Hub che al Co-factoring. Abbiamo lavorato tanto insieme sia fuori dalla scuola (per esempio con percorsi didattici sulla stampa 3D) ma anche dentro la scuola, trasformando in modo innovativo l’alternanza scuola-lavoro che è diventata di gruppo e legata allo sviluppo del territorio. Insieme agli studenti abbiamo rigenerato anche alcuni spazi della scuola, come l’aula di storia. Le modalità di progettazione condivisa di Sbrighes sono diventate poi parte integrante della progettazione dell’istituto.
Sbrighes ha giocato un ruolo fondamentale sul territorio anche durante l’emergenza Covid-19, attivando Chiama Sbrighes, per aiutare gli anziani con consegna di spesa, farmaci, compagnia; Sbrighes Ti ascolta, una linea telefonica di supporto, ma anche molte altre soluzioni per rimanere vicini alla popolazione e per portare avanti le attività con modalità alternative, come l’alternanza scuola lavoro virtuale». Delle tante esperienze attivate durante i lockdown abbiamo parlato in questo articolo
Le famiglie sono l’altro asse su cui lavora Sbrighes:
Volevamo superare la logica che il bisogno delle famiglie fosse circoscritto a una prestazione singola. Il nostro punto di partenza era che le famiglie potevano avere bisogni in comune, da qui l’idea di supportare le famiglie ad aggregare i bisogni e a metter a disposizione risorse per concorrere a trovare soluzioni
riconoscendo un premio per realizzare quel servizio personalizzato. Siamo riusciti ad aggregare più di 60 gruppi di famiglie su temi comuni. All’inizio sulla conciliazione: le famiglie, aiutate dai “Local Coach” (nuove figure professionali che abbiamo formato) sono state bravissime e hanno dimostrato da subito di essere molto creative e potenti, grazie alle loro relazioni quotidiane, nel coinvolgere il territorio. Uno dei primi gruppi aveva organizzato un servizio di doposcuola estivo nelle botteghe degli artigiani del paese. Poi c’è stato il gruppo in Val Grosina del “Ragazzo alla Pari di comunità”».
Quella di James, arrivato da Newcastle a Grosotto per fare il ragazzo alla pari di comunità e “adottato” da un intero paese, è una storia bellissima di cui si sono innamorati anche i giornalisti, che abbiamo raccontato qui.
«I format e le progettazioni negli anni sono state moltissime e hanno fatto emergere nuovi temi, nati dai bisogni delle famiglie» prosegue D’Anza: «per esempio quello della disabilità, ma anche delle famiglie che vivevano una condizione di vulnerabilità. Temi che all’inizio del progetto non avevamo individuato ma che sono venuti fuori durante l’attivazione».
Infine, la comunità: «è stato un tema trasversale a tutti i progetti. L’aspetto più grosso di questa azione è stato quello di avviare un percorso territoriale in cui abbiamo “iniettato” competenze specifiche di community management. Abbiamo creato figure nuove, come il Local Coach ma tutti gli operatori di progetto sono stati contaminati da queste nuove competenze e modalità di lavoro».
Chiediamo a Elisa che cosa secondo lei è cambiato nel territorio grazie agli interventi: «La mia sensazione è che sia cambiato il modo in cui il territorio approccia i temi e le questioni sociali: il fatto che la programmazione di zona abbia capitalizzato gli esiti, il processo e gli strumenti del progetto orientandosi verso un welfare comunitario è un grande successo. La rete si è allargata, le competenze sono state travasate in altri soggetti del terzo settore e nel servizio sociale, ma anche le aziende che hanno fatto esperienze in Sbrighes hanno cambiato il modo di stare nel territorio, la scuola “Pinchetti” ha mutuato dal progetto modalità innovative di operare. Ci sono 60 gruppi di famiglie che anche dopo la conclusione del progetto sono rimaste legate tra di loro e attive nel pensare e realizzare insieme nuove risposte sul tema della conciliazione; e ci sono spazi nuovi per la comunità, come il Local Hub, il Co-factoring e gli Spazi Cortesia; questi ultimi sono luoghi fisici collocati nelle frazioni più sperdute dove gli anziani che avevano competenze e voglia di impegnarsi sono stati ingaggiati e sono diventati protagonisti di molte iniziative, come passeggiate, tornei di burraco, luoghi che sono diventati punti di riferimento anche per chi ha carichi di cura.
Tra tutte le innovazioni introdotte grazie al progetto, qual è stata la più significativa? Io credo i “Local Coach”, perché sono state le figure che a cascata hanno permesso che le iniziative fossero realizzate, l’innovazione “madre” che ha permesso tutte le altre: hanno accompagnato la popolazione ad attivarsi e a condividere i bisogni, hanno fornito la cassetta degli attrezzi e facilitato l’avvio delle sperimentazioni. Nella fase finale del progetto abbiamo fatto in modo che le competenze dei local coach fossero trasferite ad altri operatori e ai volontari, per fare in modo che quanto appreso non fosse solo legato a persone specifiche ma rimanessero un patrimonio del territorio. Oggi che il welfare di comunità è entrato nella programmazione territoriale nessuno parte da zero ma c’è un’esperienza a cui ancorarsi.
Che cosa è accaduto che non era stato previsto e che cosa invece il progetto non è riuscito a realizzare?Non erano previste le tematiche della disabilità e della vulnerabilità, che sono emerse quando la comunità è stata sollecitata. Per entrambe si sono costituiti filoni di micro-progettualità che hanno portato anche all’allargamento della rete, ad esempio in quella legata alla vulnerabilità è entrata anche la Caritas. Rispetto a quello che il progetto non è riuscito a realizzare, ho la sensazione che ci siano azioni un po’ incompiute, come quella dei Team Angels. L’idea di partenza era quella di formare giovani a sperimentarsi come nuove figure di welfare, ma di fatto si è trattato di esperienze limitate ad alcuni eventi, come quella degli animatori che hanno lavorato nel Festival delle famiglie, un evento molto partecipato, e i baby sitter condivisi. Il fatto però di non aver generato una continuità è stato un limite.
Quali sono state le principali difficoltà che il progetto ha incontrato? Ne abbiamo avuto diverse, all’inizio non è stato facile far capire il valore del percorso, sembrava una cosa un po’ fumosa, non tanto ai cittadini ma soprattutto alle amministrazioni e ai servizi sociali. Questa diffidenza è stata superata facendo vedere realizzazioni concrete.
C’è una storia che più di ogni altra racconta la trasformazione che il progetto ha generato? Ce ne sono davvero tante. La storia del ragazzo alla pari di comunità James, su cui si è già scritto, e mi piace citare la progettazione “Alla scoperta delle professioni”; un’iniziativa partita da 6 famiglie del Comune di Grosio le quali durante l’estate hanno organizzato una serie di attività e laboratori che oltre a garantire la conciliazione cura-lavoro hanno permesso ai bambini di conoscere e apprezzare il loro territorio: sono stati infatti molti gli artigiani che hanno aderito con entusiasmo diventando sedi itineranti dell’attività estiva di questi bambini. Il gruppo di famiglie era composto da mamme lavoratrici e da una mamma casalinga che attraverso il micro-progetto è stata assunta dalla altre mamme per seguire questa attività.
Che cosa resta sul territorio che prima non c’era? Il Local Hub, gli Spazi Cortesia, Il Co-factoring, il Co-baby, ovvero uno spazio per i bambini all’interno del Local Hub. Rimangono le competenze, il lavoro fatto con le microprogettazioni sulla disabilità che si sono evoluti in progetti legati al Dopo di noi. Quasi tutto in una forma o in un’altra è andato avanti anche dopo l’esperienza di Sbrighes, infatti tutti i dispositivi sperimentati sono stati inseriti in altre progettazioni o nella programmazione di zona. È terminata la cabina di regia del progetto ma ha dato luogo a un tavolo di lavoro, è rimasta anche l’esperienza della raccolta fondi.
Posso dire che non c’è un prima e un dopo Sbrighes perché le esperienze sono diventate un sistema ordinario.
Quali sono i progetti futuri a cui state pensando, innescati grazie anche all’esperienza e apprendimenti del progetto? Non ci sono progetti specifici, continuiamo a lavorare sugli stessi temi nella programmazione territoriale. l piano di zona ha recepito l’approccio di Sbrighes che oggi è una politica pubblica a tutti gli effetti dell’ambito di Tirano.
Marusca Rodolfi è la mamma casalinga che è stata assunta dal gruppo “Alla scoperta delle professioni”:
«È stata un’esperienza bellissima. Mi sono sempre occupata dei bambini in oratorio ma non avevo mai ideato e gestito un percorso con un calendario e attività strutturate. Gli artigiani e i commercianti della zona sono stati davvero preziosi: i bambini hanno seminato piantine con la fiorista, realizzato un portachiavi dal pellettaio, partecipato al laboratorio di hamburger con la macellaia, imparato a fare la toeletta al cane nel negozio di animali e a incidere il loro nome dal lattoniere. Con noi c’era Serena, una bambina con la sindrome di Down. Il gruppo ha capito come rapportarsi a lei e lei a loro con spontaneità. Qualche volta si è unito Alì, che è un bambino della Costa D’Avorio che da poco abita a Grosio con i suoi genitori. Non faceva parte del gruppo ma ci incontrava in giro e voleva seguirci perché vedeva che ci stavamo divertendo tantissimo».
Valentina Moderana è la local coach che ha seguito l’avvio del Co-Factoring di Mazzo: «La scuola elementare era un luogo abbandonato dopo l’accorpamento dei pochi bambini in un’altra scuola, in un certo senso era proprio il simbolo dello spopolamento di questo territorio. A partire dalla fase di progettazione degli spazi è stata coinvolta una classe terza dell’Istituto “Pinchetti” di Tirano. I ragazzi si sono cimentati nell’attività di ideazione degli allestimenti e dopo qualche settimana di lavoro hanno presentato alla comunità di Mazzo il loro progetto. Adesso il Co-Factoring è un posto vivo dove si uniscono vocazione innovativa e tradizione: negli anni si è ritagliato il suo pezzo di mercato nel campo della stampa 3D per la progettazione di pezzi di precisione per le imprese del territorio e non solo, riuscendo allo stesso tempo a veicolare nello stesso momento anche il contenuto educativo del progetto. Nell’officina digitale ci sono stampanti 3D e altri strumenti tecnologici, nell’officina di comunità una falegnameria e altri attrezzi più legati all’artigianalità». Per comprendere la portata innovativa e comunitaria del co-factoring, è stato coinvolto nella fase più acuta dell’emergenza Covid-19 nella produzione di valvole da adattare alle maschere Decathlon in collaborazione con il makerspace milanese WeMake.
Doriana Natta è coinvolta come assessora del Comune di Tirano ma anche come cittadina negli Spazi Cortesia: «Nelle frazioni di montagna di Baruffini e Cologna non c’erano più bar e negozi, mancavano luoghi di aggregazione. Gli Spazi Cortesia sono diventati una risorsa fondamentale per il luogo, sono frequentati molto dagli anziani ma anche dagli altri cittadini. Grazie a Silvana e Sara che li gestiscono, ma anche degli altri volontari, vengono organizzate attività che hanno molto successo, come i tornei di burraco, o altre più di servizio informativo. Come il momento dedicato alla misurazione dei parametri vitali con le infermiere volontarie. In queste frazioni non c’è più il medico di base, e per alcuni anziani gli Spazi Cortesia sono diventati anche presidi di prevenzione. Adesso stiamo pensando a un momento per aiutare le persone anziane a utilizzare le funzionalità degli smartphone, perché non tutti hanno figli e nipoti che possono seguirli. Durante le festività vengono proposte attività creative che coinvolgono anche i bambini, come “Gli Alberi di Pasqua”: ogni contrada addobba il suo, sono venute fuori cose bellissime. Ogni due mesi circa organizziamo riunioni per proporre nuove attività e fare il punto su quelle già avviate. Il “Quiz Locale”, un quiz a premi con domande sul territorio, è stato un successone, hanno partecipato anche vecchietti che non uscivano mai di casa!».
Nonostante la pandemia, grazie a Sbrighes, ai giovani, alle famiglie, agli imprenditori, ai volontari che si sono “presi la briga di…” nuove reti e connessioni si sono accese fra le montagne della Valtellina.