«Vedevo che erano davvero occupatissimi. C’erano centinaia di vestiti e oggetti da dividere e catalogare, decine di scatoloni da sistemare. E allora ho chiesto se avevano bisogno di una mano, loro mi avevano sempre aiutata».
Khadja Rachad è marocchina ma è ormai in Italia da quasi quindici anni, abita a Pavia con suo marito e i suoi tre figli. Da un anno frequenta uno dei laboratori sociali gestiti dal progetto Fare #Bene Comune, sostenuto da Fondazione Cariplo nel programma Welfare di Comunità.
Khadja è una delle persone che, nel linguaggio del welfare di comunità, vengono definite “beneficiari che diventano risorse”. Termini un po’ tecnici che raccontano storie come queste: i bambini di Khadja partecipavano alle attività di aiuto compiti perché, come spiega lei: «anche se abbiamo studiato nel nostro Paese, su alcune materie, in particolare da quando i nostri figli iniziano a frequentare le medie è difficile aiutarli perché non abbiamo una perfetta padronanza della lingua». Se avevano bisogno di vestiti o materiale scolastico, potevano fare affidamento sul laboratorio del “Riuso”, organizzato all’interno del laboratorio sociale. Quando Khadja aveva a che fare con una pratica burocratica particolarmente spinosa, c’era lo Sportello Famiglia a disposizione: «quando ho fatto la richiesta di cittadinanza non riuscivo a collegarmi al sito. Con le operatrici abbiamo provato a connetterci per 4 ore, dalle 14.00 alle 18.00 finché non ce l’abbiamo fatta».
Un po’ prima dello scoppio della guerra in Ucraina, Khadja vede le operatrici e gli operatori particolarmente affannati:
mi è venuto spontaneo chiedere se potevo aiutarli, non lo avevo fatto prima solo per timidezza, loro hanno subito accettato. Adesso vado al laboratorio praticamente tutti i giorni, di mattina lavoro ma prima di andare a prendere i bambini a scuola trascorro sempre lì qualche ora. Adesso con la guerra in Ucraina gli oggetti che arrivano sono ancora più numerosi del solito. Se è stancante? Un pochino ma è soprattutto bello perché posso restituire tutto l’aiuto che mi viene dato, come si dice in italiano? È reciproco
Khadja non è l’unica a desiderare questa reciprocità, a maggior ragione da quando è iniziato il conflitto, come racconta Elisabetta della Vigna, un’operatrice di Fare #Bene Comune: «Nei primi giorni il nostro laboratorio è stato sommerso da oggetti che le persone ci portavano da inviare in Ucraina. La porta era sempre aperta ed era un continuo via vai di gente, ma mancavano le macchine per consegnarli ai centri di raccolta e a un certo punto non riuscivamo nemmeno più a reperire gli scatoloni, era un po’ un caos. Vedendoci così occupati, alcune persone che frequentavano il laboratorio ma anche molte nuove si sono offerte di aiutarci, alcune mettendo a disposizione il loro tempo, altre portandoci torte, cibo, cioccolatini. Persone di tutte le nazionalità e di provenienza sociale. Noi siamo posizionati in un quartiere a composizione mista, vicino abbiamo anche un complesso di case popolari. Non è stato solo un aiuto estemporaneo perché alcune di loro sono rimaste con noi come volontarie. Gestire tutto dal punto di vista organizzativo, coordinare gli aiuti non è semplice, ma ne vale la pena».
Dalla settimana prossima, oltre allo Sportello Famiglia, all’angolo lettura per i bambini da 0 a 6 anni con libri in tutte le lingue, all’attività di aiuto compiti e al Riuso, ci sarà una volontaria bielorussa per seguire i bambini ucraini che non sono ancora stati inseriti all’asilo
c’è anche una signora ucraina, che è anche psicologa, che si è offerta di aiutarci. È arrivata da noi tramite il Riuso, che è davvero un motore potentissimo. Perché ti mette in connessione con le persone in un setting diverso rispetto agli sportelli, mentre scegli le lenzuola, o trovi un piatto per la cucina si crea una relazione che ti permette davvero di intercettare i bisogni e costruire un legame di fiducia. Anche noi operatori se troviamo qualcosa che ci piace lo prendiamo dal Riuso, tutti portano e tutti prendono
Quello che frequenta Khadja è uno dei sette laboratori sociali di Fare #Bene Comune sparsi in quartieri diversi di Pavia. Spiega Antip Petronela, responsabile della comunicazione del progetto: «erano spazi fisici del Comune che esistevano già prima di Fare #Bene Comune, venivano utilizzati da varie associazioni e per attività diverse, ma erano poco frequentati, non valorizzati e non riuscivano veramente a coinvolgere il quartiere in cui si trovavano. Quando siamo subentrati abbiamo provato a renderli aperti alle realtà che li circondavano, ad avviare collaborazioni con scuole, oratori, bar e farmacia, case popolari. A dargli un senso di identità, a partire dal nome, a trasformarli in luoghi di promozione di legami comunitari e a creare una rete con gli altri laboratori: adesso condividono attività, volontari, c’è una progettazione comune. Il progetto ha stimolato tutte le associazioni attive in questi spazi costruendo iniziative e servizi e rendendoli aperti ai quartieri e coordinati fra di loro».
In questo processo di cambiamento c’è una data importante: «Il 14 maggio ci sarà la presentazione ufficiale della rete dei laboratori sociali e stiamo organizzando una festa». Un’altra occasione per mettere in circolo quelle che Elisabetta Della Vigna chiama “energie bellissime della comunità”.