C’è la signora Giulia che dice: «sono arrivata a 96 anni senza truccarmi e quella bella tusa mi ha messo lo smalto fucsia». E c’è la signora Anna, 90 anni, le cui giornate trascorrono lente: «Nella mia vita ho lavorato, ho avuto cinque figli. E nella mia casa c’era sempre un via vai di gente che andava e veniva, invece ora c’è sempre silenzio. Passo ore a guardare dalla finestra per vedere se arriva qualcuno ma ci sono giorni in cui non parlo con nessuno». Ci sono quelli che protestano: «se non si gioca a scopa non vengo» ma la maggior parte non vede l’ora di ritrovarsi per l’appuntamento fisso settimanale. Sono gli anziani che frequentano i Caffè Sociali, i momenti dedicati a persone over 65 ideati da Distanze Ravvicinate, uno dei progetti della IV edizione del bando Welfare di comunità di Fondazione Cariplo attivo nella Valle Imagna e nei territori dell’Oltre Brembo.
Ilaria Cantù è la responsabile dei Caffè Sociali: «Distanze Ravvicinate è partito prima della pandemia. Una delle azioni aveva come obiettivo quello di lavorare sui territori sulla fascia delle persone anziane nell’ottica di costruire delle relazioni per prevenire fragilità complesse. Di agire sulle persone over 65 autonome ma sole, senza reti, famigliari, in modo che la fragilità sociale non si trasformasse in una fragilità più estesa: mi spiego se una persona abituata a cavarsela da sola si rompe una gamba, abita all’ultimo piano, non può fare la spesa, la sua condizione rischia di aggravarsi.
Il nostro territorio non è una città ma una valle montana, dove esistono paesini anche di 100 abitanti, sparsi, lontani, ci sono salite e discese, case che distano anche sette chilometri l’una dall’altra e in mezzo magari c’è un bosco. Volevamo creare occasioni di socializzazione per costruire reti in cui gli anziani non fossero solo soggetti di cura ma anche risorse per sé stessi e per gli altri
Ma la pandemia obbliga a ripensare tutto il progetto, perlomeno in un primo momento: «Distanze Ravvicinate voleva ridurre le distanze, far riavvicinare le persone, ma il Covid ha naturalmente stravolto tutto. Allora in quella fase emergenziale abbiamo contattato i comuni che avevano accolto la proposta dei Caffè e con i servizi sociali, le associazioni sul territorio, le parrocchie abbiamo individuato le situazioni di fragilità. Le educatrici hanno avviato incontri domiciliari, per fare compagnia alle persone e per capire i loro bisogni. Poi agli inizi del 2021 abbiamo iniziato a provare, con tutte le cautele, a far uscire le persone di casa e dalla primavera abbiamo cominciato a organizzare incontri all’aperto, con orari e giorni stabiliti e così, piano piano, è germogliato il Caffè Sociale». In poco tempo i germogli sono diventati piante rigogliose:
Adesso sono attivi cinque caffè sociali, in paesi diversi. Non si tratta di servizi, anche se c’è sempre la presenza di un educatore, ma di momenti di incontro. Il Caffè Sociale si rimodula adattandosi alle esigenze delle persone che lo frequentano, a me piace dire che è “fluttuante” e dinamico.
Per esempio il gruppo di Valbrembo è medio giovane, gli anziani che lo frequentano hanno in media 65 anni: in quel contesto funziona molto bene l’attività del risveglio muscolare, che invece non funzionerebbe nel gruppo di San Salvatore che è frequentato da over 80, e alcuni di loro hanno compromissioni fisiche. In questo caso si fanno soprattutto attività manuali al tavolo, adesso per esempio stiamo costruendo un album che racconta la storia del paese per come la conoscono loro, l’idea è di arrivare a una mostra fotografica. Un’altra attività che ha funzionato benissimo è quella della cura del sé. All’inizio non eravamo sicuri di proporla, ci sembrava di invadere una sfera intima della persona, ma poi l’educatrice ha chiarito che il suo rappresentava solo un supporto. Alle signore è piaciuta moltissimo, prevedeva il pediluvio, massaggio, maschera facciale, lavaggio capelli. Ci sono le gite, le passeggiate ma ci tengo a dire che i Caffè Sociali non sono momenti in cui l’educatore “inventa delle attività” ma spazi di relazione e molte delle attività nascono dalle proposte degli anziani stessi. Ci abbiamo messo un po’ a scardinare una routine di tempo libero che per molte persone era basata quasi esclusivamente il gioco delle carte o la tombola e tuttora ci sono risposte diverse e livelli di coinvolgimento diversi ma noi dobbiamo far stare dentro tutti. E le educatrici sono davvero delle menti illuminate perché sono capaci di cogliere sempre il feedback degli anziani, le loro resistenze, le loro potenzialità, sono capaci di capire qual è la strada giusta, quale attività lasciar perdere e su quale puntare, tutto è in divenire ed è bello così». La signora Giulia, per esempio, dice ridendo che non ama tanto le attività in generale, soprattutto non ama “pitturare”: «Io vorrei solo parlare, delle cose che succedono in paese e degli anni passati. Mi piace chiacchierare, non mi sembra vero poterlo fare, sto tutto il giorno da sola, perché la mia casa è molto isolata e non riesco più ad andare da sola in paese ma mi dicono tutti “Anna, va bene parliamo ma facciamo anche qualcosa!”».
Continua Ilaria Cantù: «Abbiamo letto un grandissimo bisogno di socializzazione dopo la pandemia e abbiamo costruito su quel bisogno, attivando una proposta che non c’era e traghettando le persone a sviluppare risorse che magari a loro volta non sapevano di avere. C’è stata una bella sinergia con le associazioni del territorio, come quella degli alpini e stiamo assistendo a un processo graduale di autoattivazione di relazioni, che era il nostro obiettivo. Per esempio poco tempo fa una signora che da un anno frequentava un caffè si è rotta un piede ed è stata lei a chiamare le amiche conosciute al Caffè Sociale per chiedere se potevano darle una mano con la spesa. In un altro caffè le persone hanno proposto una gita ma quel giorno l’educatrice non poteva e loro si sono organizzati in maniera autonoma. Prima su questo territorio non esisteva niente di analogo a parte il Centro Anziani, che è un’iniziativa di grande valore, ma non sempre riesce a intercettare tutte le persone, perché è un’azione molto strutturata e alcune persone pensano “non sono vecchio, non ho bisogno”. Inoltre nei Caffè Sociali abbiamo lavorato molto per avviare un processo in cui l’anziano da soggetto di cura diventa promotore di cura e ha funzionato: adesso esistono per esempio iniziative in cui gli anziani organizzano dei momenti di gioco per i bambini della scuola materna. Conclude Ilaria:
Il nostro obiettivo è quello di “scomparire”, il caffè sociale in potenza può rimanere aperto senza educatore
È già successo qualche volta che l’educatrice non potesse e noi abbiamo deciso di non sostituirla ed è stato un successo. Le persone si sono trovate, hanno diretto e partecipato a un’attività e poi l’hanno chiamata in massa per raccontarle tutto! L’evoluzione ultima di Distanze Ravvicinate è questo: non abbandonare gli anziani perché sono finiti i soldi ma lavorare in via preventiva perché loro siano capaci di organizzarsi, è questa la forza e la bellezza del progetto.
Anna con i suoi 90 anni non può muoversi in autonomia, ma per nessuna ragione vuole mancare al suo appuntamento settimanale con il Caffè Sociale: «mi vengono a prendere e mi riportano, sono proprio carini. Ci vorrebbe che partecipassero tutti, ma ho alcune amiche che si vergognano: “Che cosa dirà la gente?” si preoccupano. Ma che si arrangino! È così bello stare in compagnia».