Quando si parla delle figure del welfare di comunità a volte i nomi sono appropriati ma non riescono a contenere tutta la complessità, la bellezza e lo slancio che si celano dietro a un ruolo.
È il caso dei “facilitatori naturali” del progetto aMIcittà, sostenuto nel programma Welfare di Comunità di Fondazione Cariplo. aMIcittà promuove lo sviluppo di una comunità inclusiva, affiancando le persone con disagio psichico nella costruzione del proprio progetto di vita e nel rappresentare una risorsa per gli altri. In questo percorso di valorizzazione della comunità, come spiega Annalisa Cerri, presidente dell’associazione Contatto, partner di aMIcittà: «sono state create delle figure specifiche, i facilitatori naturali. Ovvero persone che fanno parte della rete del paziente, come cittadini, amici, vicini di casa, che collaborano in un percorso di recovery condiviso tra utente, operatore, servizi. Specifica Annalisa Cerri: «l’aspetto importante è che non si tratta di figure “calate dall’alto” ma sono gli utenti stessi a proporle, nel corso degli “incontri di esplorazione della rete sociale naturale” in cui si fa insieme una ricognizione degli interessi, delle abitudini, della quotidianità da cui emerge una fotografia della persona, della sua rete, dei suoi bisogni e desideri. Una volta individuata una figura di supporto la contattiamo e, se accetta di essere coinvolta, facciamo un incontro a tre e cerchiamo di capire come può essere di aiuto.
Non necessariamente dovrà fare cose diverse da quelle che già fa, ma la connessione tra le varie figure che aiutano il paziente dà un significato diverso al sostegno: esiste una rete che si è connessa
Faccio un esempio: un paziente da una residenzialità leggera si trasferisce in un appartamento. Il facilitatore può essere il vicino di casa. Magari gli avrebbe prestato la scala o offerto un caffè in ogni caso, ma se il suo vicino non è solo un vicino ma un facilitatore naturale, il paziente sa di poter fare affidamento su di lui e il vicino di poter contare sull’operatore se qualcosa non va». Luciano e Fulvio erano già vicini di casa quando Fulvio è stato male, racconta Luciano: «Fulvio abitava con sua mamma, e io gli avevo ristrutturato l’appartamento perché ho un’impresa edile. Quando è morta la mamma lui è crollato ed è stato ricoverato in una struttura psichiatrica. L’ho sempre aiutato, con le bollette, i pagamenti, il rinnovo della patente, ma il fatto di essere facilitatore mi ha tolto l’aspetto gravoso della responsabilità. Perché alle volte si pensa di sbagliare a fare una segnalazione: quando ho visto che stava male ci ho pensato ma poi mi sono detto che magari avrebbe perso il lavoro a causa mia e ho preferito tacere. Adesso lui sta meglio, andiamo insieme a fare la spesa, a berci un aperitivo, guardiamo le serie su Netflix, siamo amici.
Non mi sembra di fare niente di speciale e se abbiamo trovato un equilibrio il merito è mio ma anche suo. Certo ora se dovessi accorgermi che sta male saprei chi allertare
Capire tempestivamente se qualcosa non va è fondamentale, spiega Annalisa Cerri: «Il ritiro ad esempio può sfociare in un ricovero. E, in particolare dopo la pandemia con l’aumento dei casi di disagio psichico, i servizi sono in sofferenza, spesso non hanno risorse per le visite domiciliari, serve qualcuno nella vita dell’utente che possa funzionare come una “sentinella positiva”»
È il caso di Jolanda Rotiroti, da molto tempo facilitatrice naturale del suo ex collega Masaki detto Masa che, in quelli che lei chiama “i momenti peggiori di Masa”, ha più volte allertato i servizi. Ma è qui che il termine non è abbastanza per raccontare la storia di una donna che ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e che insieme a Masa ha trasformato un dono in uno scambio: «Quindici anni fa Masa ha ospitato per un mese me e il mio compagno e, dopo quel periodo, eravamo rimasti in contatto, ci sentivamo ogni tanto. Mi ero accorta in parte della sua fragilità ma, se non fossi stata contattata dal progetto, probabilmente ci saremmo fatti ancora qualche telefonata nel tempo e poi lo avrei perso di vista. A maggior ragione perché lui a tratti si chiude completamente in sé stesso». «Il rischio del disagio psichico è che ti fa perdere le relazioni» continua Annalisa Cerri: «infatti uno degli obiettivi di questo percorso è anche far capire all’utente che se una relazione si è interrotta non è perché l’altro ti ha rifiutato, ma magari ha colto una presa di distanza e non sapeva come rispondere. Recuperare quella relazione significa sostenerla anche nei momenti più complicati». Conferma Jolanda
avere il sostegno di tutte le parti del progetto è fondamentale, quando non so che cosa fare chiamo Annalisa o il CPS perché io non ho le competenze professionali. Certo negli anni ho capito e imparato molte cose e sono cresciuta ma ho sempre bisogno di loro, di un riscontro
E poi ho anche io momenti di stanchezza e di fragilità, tante volte ho pensato che non ce la facevo più. Masaki alterna momenti di euforia a momenti depressivi, quando l’euforia è troppa devo cercare di contenerla e quando si chiude devo essere vigile. E sempre cerco di valorizzare le sue risorse, che sono moltissime perché Masa è davvero in gamba e abbiamo molte passioni in comune, lui è un designer e io una grafica, ma quando hai un disagio mentale non è facile lavorare. Però siamo riusciti a fare insieme anche un bel progetto di home cooking, “Casa Masa”: siccome lui è molto bravo a cucinare, per un periodo abbiamo organizzato delle cene a casa sua in cui lui preparava agli ospiti piatti della tradizione giapponese meno conosciuti». Conclude Annalisa: «Il vantaggio di un’attivazione di questo tipo è che quando il programma funziona, il rapporto va avanti e le relazioni, se sono state orientate nel modo giusto, restano anche quando il progetto finisce». E diventano una ricchezza per il servizio, per l’utente, ma anche per il facilitatore, come dice Jolanda: «il rapporto tra me e Masa si è molto modificato nel tempo: all’inizio era unidirezionale, lo aiutavo a fare delle cose. Adesso è uno scambio e un’amicizia profonda in cui non esistono maschere: so tutto di lui e lui di me».