"Minù, io non posso cambiarti! Come non potrei chiedere ad uno scoiattolo di saltellare da un fiore a un altro o a una civetta di vivere di giorno o ancora a una farfalla di portare il peso delle ghiande. Guardati attorno, nessuno di noi è uguale agli altri! Questo è il grande segreto del bosco!”.
Minù è una piccola creatura fantastica che abita il bosco. L’hanno inventata e disegnata gli studenti delle medie dell’Istituto Comprensivo di S. Omobono Terme insieme a un gruppo di ragazzi con disabilità. Ma anche, come dice Francesca Cicolari, che è mamma di uno di questi ragazzi: «Minù è ognuno dei nostri figli e ognuno dei vostri figli. E Minù siamo anche noi. Come Minù siamo tutti alla ricerca di un consenso negli occhi dell’altro». La storia di Minù è diventata un libro interattivo per i bambini, nato dall’iniziativa di un gruppo di famiglie che hanno partecipato al bando “Idee ne abbiamo?” promosso dal progetto Distanze Ravvicinate. Perché, come dicono gli operatori del progetto: «Quando le persone si mettono insieme si possono trovare risposte più creative ed efficaci per rispondere ai bisogni individuali». Il progetto Distanze Ravvicinate, sostenuto dalla IV edizione del bando Welfare di comunità di Fondazione Cariplo, si è occupato di genitorialità, nuclei famigliari in difficoltà economica, nuclei che hanno persone con disabilità, anziani o caregivers nel territorio della Valle Imagna – Villa d’Almé. 20 Comuni, 53mila abitanti e circa 22 mila famiglie, un territorio variegato e anche molto particolare, dove le distanze erano forse più accentuate che altrove, come spiega in questa intervista Gianantonio Farinotti, responsabile di Distanze Ravvicinate e direttore dell’ente capofila di progetto, l’Azienda territoriale Servizi alla Persona, Valle Imagna - Villa d'Almé.
Prima dell’inizio del progetto, quali erano i problemi principali del vostro territorio ai quali volevate dare una risposta? Il nome che abbiamo scelto per il nostro progetto esprime da dove siamo partiti e dove volevamo arrivare. Il nostro territorio è molto esteso e anche variegato, ci sono zone vicine alla città e paesi sperduti, aree isolate e ormai spopolate
Esistono distanze geografiche, ma anche culturali, contesti diversi e molto frammentati, che amplificano un problema comune: quello della fragilità delle famiglie
Quelle che devono occuparsi di un parente anziano, di un figlio disabile, che hanno difficoltà materiali o anche problemi transitori che però, senza interventi, rischiano di cronicizzarsi. La crescita del numero di famiglie in cui i minori entravano nell’orbita dei servizi sociali era stata un campanello d’allarme per noi, erano aumentati anche i provvedimenti dei tribunali. C’erano problemi sempre più evidenti legati all’isolamento delle persone anziane. I servizi erano presenti ma si trattava appunto di ridurre la distanza tra l’offerta e i bisogni per tutte le fasce di vulnerabilità. Istituzioni, servizi e terzo settore erano abituati ad attivarsi sui problemi soprattutto di fronte alle urgenze e in modo settoriale, spesso frammentato, con una diffusa cultura organizzativa poco avvezza ad assumere processi di attivazione comunitaria come approccio al proprio lavoro. Per capirci: non è che devi avere l’ospedale vicino a casa ma qualcuno che ti ci può portare se hai bisogno.
Volevamo costruire le condizioni e le occasioni perché le famiglie potessero uscire dall’isolamento, collaborare, condividere risorse e giocare un ruolo attivo nella propria comunità
Distanze Ravvicinate è partito nel 2019. Nel 2020, il momento della “messa a terra”, è arrivato il Covid. Ma quello che è sembrato in una prima fase il tracollo del progetto in realtà è stata una grandissima spinta perché siamo riusciti a valorizzare le energie e le risorse che si sono create durante la pandemia.
In quei primi mesi pazzeschi lavoravamo h24 senza fermarci perché come azienda territoriale dovevamo occuparci dei beni e dei servizi di prima necessità per anziani e disabili, per le famiglie, organizzare le reti dei volontari. Fortunatamente ci sono stati moltissimi innesti nuovi di persone dalla comunità civile, un allargamento naturale del bacino di persone toccate dal progetto. Un patrimonio prezioso di risorse che ci siamo portati dietro e che hanno poi animato le azioni del progetto.
Iniziative che erano partite timidamente, come i Caffè Sociali per le persone anziane (ndr. ne abbiamo parlato in questo articolo), terminato il periodo del lockdown, sono diventati luoghi di aggregazione importantissimi sul territorio. Durante il Covid insieme ai genitori delle scuole abbiamo ideato percorsi per garantire la DAD alle famiglie in difficoltà. La collaborazione con i gruppi di genitori era già prevista all’inizio del progetto ma prima del Covid non aveva tanto funzionato.
E ora, 4 anni dopo, che cosa è cambiato grazie agli interventi? I soggetti attivi che concorrono all’attivazione del territorio sono molto più numerosi. Quando siamo partiti c’era un’eccessiva presenza dell’Azienda Consortile nel promuovere e decidere le iniziative. Ora il bacino è molto più ampio e coinvolge reti di cittadini e anche risorse non professionali. Sono stati allestiti 4 gruppi di lavoro tecnici permanenti attorno ai 4 temi cardine (età evolutiva, inclusione, disabilità, anziani), per la definizione e la realizzazione della pianificazione zonale garantendo l’apprendimento del territorio su questi temi. Sono attivi 4 Caffè sociali come luoghi di socialità per anziani attivi e anziani fragili. Una rete di famiglie unite dal problema della disabilità ha organizzato spazi di mutuo aiuto per mettere a disposizione opportunità e spazi di autonomia per i propri figli.
Tra tutte le innovazioni introdotte grazie al progetto, qual è stata la più significativa? Io dico il bando rivolto alle famiglie “Idee ne abbiamo?”, una partecipazione del territorio così forte non si era mai vista (ndr. lo abbiamo raccontato qui). Fin dalla fase progettuale avevamo previsto un bando per agevolare la partecipazione dal basso delle famiglie, ma non ci immaginavamo un coinvolgimento così importante. Nella seconda edizione, aperta nel 2023, hanno presentato progetti 150 famiglie, riunite complessivamente in 22 gruppi, su tre aree: disabilità, anziani, età evolutiva. Molte di queste famiglie vivono problemi connessi a queste aree ma il vincolo del bando e la sua forza è che il contributo viene erogato in funzione della “socializzazione” del bisogno e della risposta.
Nella prima edizione finanziata dal progetto un gruppo di anziani ha presentato un progetto legato al tema prevenzione salute e invecchiamento attivo. Un altro, nato da un Gas, ha deciso di proporre attività formative di condivisione delle abilità intergenerazionali per anziani e famiglie come i laboratori di cucito, o il “laboratorio per fare il sapone in casa”. Un altro progetto ha recuperato uno spazio dismesso vicino a una scuola diventato un orto per i bambini della scuola e per gli anziani. Un altro si è costruito intorno a un grosso gruppo di famiglie e ha organizzato momenti di gioco strutturato e uno spazio compiti. Un altro ancora ha lavorato sul tema dell’accoglienza famigliare: questo gruppo si è messo in contatto con il servizio di tutela per coinvolgere le famiglie che ospitano bambini affidatari in vari eventi. Si tratta di progetti che hanno messo in connessione famiglie “risorsa” che si sono messe a disposizione e famiglie con bisogni. Ma anche territori diversi, perché alcune proposte hanno coinvolto più comuni.
Che cosa è accaduto che non era stato previsto? E che cosa invece il progetto non è riuscito a realizzare? Di inaspettato mi viene in mente questo: nella prima progettazione di Distanze Ravvicinate avevamo immaginato un’azione per coinvolgere i cittadini in un percorso di rigenerazione di luoghi abbandonati nei piccoli comuni della valle, ma alla fine non eravamo riusciti ad avviarla. Poi, senza che noi indicassimo una strada, uno dei progetti presentati da un gruppo di cittadini nella seconda edizione del bando “Idee ne abbiamo?”, è stata proprio la proposta di ravvivare un parco in disuso, nel territorio del comune di Capizzone.
L’idea buona di allora si traduce in una proposta spontanea di oggi. È stata una cosa bellissima per noi. Perché si è sviluppata indipendentemente da noi ma è anche frutto del nostro lavoro
Per quanto riguarda invece quello che il progetto non è riuscito a realizzare posso dire che non siamo stati in grado di coinvolgere di più le scuole del territorio, anche a causa della pandemia.
Quali sono state le principali difficoltà che il progetto ha affrontato? Il Covid ovviamente, il progetto in un primo tempo sembrava non esistere più. A Bergamo eravamo in una cappa nera, bisognava gestire le emergenze immediate, per intenderci nei primi 90 giorni della pandemia noi operatori sociali siamo stati incaricati con ATS di occuparci di questioni ‘vitali’ come la consegna delle bombole di ossigeno a domicilio per i malati. Tutti avevamo altri pensieri. Ma poi, come ho raccontato prima, in realtà il Covid ha aggregato forze e risorse che poi sono diventate un patrimonio del progetto.
C’è una storia che più di ogni altra racconta la trasformazione che il progetto ha generato? Mi viene in mente la storia del gruppo di genitori di ragazzi con disabilità che hanno partecipato al bando "Idee ne abbiamo?" con un progetto di inclusione in collaborazione con le scuole medie del territorio. Il progetto si è trasformato in un testo che è stato adottato anche dai docenti di una scuola primaria.
Che cosa resta sul territorio che prima non c’era? I caffè sociali, prima di Distanze Ravvicinate nel nostro territorio non esistevano esperienze di carattere sociale per persone anziane sole. Adesso esistono 4 Caffè sociali, si tratta di esperienze che hanno aperto la strada ad un modello di servizio che si caratterizza come luogo d’incontro e di socializzazione, con una forte valenza in termini di prevenzione e di costruzione di legami sociali. I Caffè sociali hanno avuto il merito d’ingaggiare diverse figure di volontari e di coinvolgere realtà profit, dimostrando alle Amministrazioni pubbliche che si tratta di una piccola, ma importante sperimentazione per prevenire situazioni di decadimento fisico e isolamento sociale e, al contempo, per consentire esperienze significative agli anziani attivi. Rimangono le iniziative per i gruppi di giovani e adulti con disabilità, che hanno assunto una forma molto più strutturata con Distanze Ravvicinate, in particolare la sperimentazione per bambini e ragazzi di forme di autonomia possibile con brevi soggiorni in un appartamento dedicato (palestra di vita autonoma). Restano anche i gruppi di programmazione territoriale, e resta anche il Bando "Idee ne abbiamo?".
Quali sono i progetti futuri a cui state pensando, innescati grazie anche all’esperienza e apprendimenti del progetto? Stiamo pensando di integrare il tema della conciliazione nel bando "Idee ne abbiamo?", vogliamo costruire opportunità anche per i giovani genitori che devono lavorare, hanno bambini piccoli e magari anziani o persone con disabilità da accudire. In realtà, continua tutto quello che è nato con Distanze Ravvicinate. Siamo grati a Fondazione Cariplo che ci ha aiutato a tenere la barra su progettualità che hanno tutte una sostenibilità futura, che proseguono con altri finanziamenti. E siamo felici perché siamo riusciti a spendere bene le nostre risorse, perché era fondamentale per noi non far partire progetti che non sarebbero poi continuati.
Francesca Cicolari non si sarebbe mai aspettata che la piccola Minù, un po' creatura fantastica e un po' tutti noi, avrebbe avuto così successo: «conoscevo già Distanze Ravvicinate perché mio figlio Giacomo, che è un ragazzo autistico di 20 anni, aveva partecipato alle palestre di autonomia. Aveva trascorso un fine settimana con altri ragazzi autistici in una casa del progetto, insieme gli operatori. Era tornato entusiasta: aveva scoperto che anche gli altri ragazzi avevano la passione dei Manga, che anche loro parlavano da soli o che saltavano mentre ascoltavano la musica, proprio come lui.
Io faccio parte di un'associazione di genitori di ragazzi con disabilità e, quando abbiamo sentito parlare del Bando "Idee ne abbiamo?", abbiamo deciso di partecipare con un progetto dedicato all'inclusione. Abbiamo costruito un percorso che coinvolgeva gli studenti delle scuole medie, esperti di teatro e arte, i nostri figli ma anche adulti con disabilità che vivevano nel territorio. Anche loro erano gli esperti, c'è chi conosceva le tecniche per riciclare la carta, chi aveva altre competenze. L'obiettivo era quello di fare incontrare disabilità e normalità, abbattere i muri di diffidenza ma anche valorizzare le persone disabili come possibili risorse. Per i nostri ragazzi è stato bello tornare tra i banchi, per gli studenti sentirsi utili, capire che prima vedi la disabilità, dietro poi c'è una persona. Negli incontri è stata inventata e disegnata Minù e poi Minù è diventata un libro per i bambini. In una scuola elementare è stato adottato come libro di testo e si è trasformato anche in una pièce teatrale. Adesso riproporremo il progetto nelle scuole d'infanzia, ovviamente con modalità un po' diverse. La sensazione più bella quando penso a tutto questo è che l'obiettivo di Accorciare le Distanze è stato percepito e continua a essere tramandato».