Una terra di montagna dove un tempo “tutti erano i figli di tutti”, dove la gente “era abituata a cavarsela e anche a dare una mano”. Siamo in Bassa Valtellina, nell’ambito di Morbegno, 25 comuni, alcuni appoggiati a fondo valle, altri arrampicati sulla montagna. Il più grande, Morbegno, conta 12.000 abitanti, il più piccolo, Pedesina, soltanto 40. Ma poi i tempi cambiano, i giovani lasciano i loro piccoli paesi, quelli che restano non hanno luoghi dove ritrovarsi, gli anziani vivono soli, le famiglie straniere che arrivano faticano a integrarsi. «Le persone, ma anche talvolta le amministrazioni tendevano ancora a pensare “da noi la povertà non esiste”» dice Francesca Canazza, la responsabile di Tam Tam Tempi di Comunità, un progetto sostenuto nella quarta edizione del bando Welfare di Comunità di Fondazione Cariplo, «ma la povertà non è solo economica, che comunque esiste perché quando abbiamo iniziato il progetto più di 2000 famiglie vivevano in una situazione di bisogno e le stime dicevano che altre 4000 si trovavano in una condizione di vulnerabilità. Parliamo anche di povertà relazionale, tra le famiglie, nella comunità, tra un paese e l’altro.
Dall’analisi del contesto locale sapevamo che c’erano molte famiglie in condizione di vulnerabilità e di fronte a eventi critici cercavano soluzioni che posso chiamare “autoreferenziali”, cioè provavano a fronteggiarle senza aiuti. I servizi erano impegnati a intervenire su situazioni di bisogni conclamati in un’ottica emergenziale e le associazioni del territorio si muovevano a macchia di leopardo in un contesto locale molto frammentato come è il nostro. Siamo partiti con l’obiettivo di promuovere una trasformazione del modo con cui la comunità affronta il tema della vulnerabilità delle famiglie, facilitando la ricomposizione delle risorse già attive, sensibilizzando la cittadinanza e le istituzioni attorno al problema e stimolando una maggiore mobilitazione delle famiglie stesse.
E ora, 5 anni dopo, che cosa è cambiato grazie al progetto? Nelle comunità interessate da Tam Tam le preoccupazioni sono state condivise, raccolte nella comunità e questo ha portato con più naturalezza a far emergere le risposte. Le organizzazioni sono più coese e più capaci di fare sistema intorno al fenomeno della vulnerabilità. C’è un territorio più formato, c’è una sinergia di competenze, degli operatori, ma anche delle amministrazioni locali. In Valtellina non mancavano le associazioni, però mancava un po’ la capacità di fare rete.
Le figure professionali attivate dal progetto, il facilitatore, l’ASA di comunità, il tutor famiglia hanno permesso di costruire ponti dove prima esistevano campanilismi e diffidenza e hanno raggiunto anche personalmente la vulnerabilità delle famiglie, accompagnandole perché trovassero forze e risorse per migliorare la propria situazione.
L’ASA, ovvero l’ausiliario socioassistenziale era una figura che esisteva già, noi abbiamo voluto darle una nuova declinazione: “L’ASA di comunità” per trasformare un semplice intervento domiciliare di supplenza alla famiglia in una rigenerazione di legami. Faccio un esempio: in un paesino c’era una signora anziana che era rimasta sola perché i suoi figli abitavano tutti lontani. L’ASA è riuscito a organizzare una rete intorno a lei attivando la comunità: una persona per accompagnarla dal parrucchiere, un’altra che passasse da lei per controllare che avesse preso le medicine. Ci sono state famiglie straniere che sono state aiutate a integrarsi e allo stesso tempo a diventare autonome, facendo leva sulle risorse che esistevano e soprattutto aiutandole a scoprire le loro. Certo il Covid ha messo a dura prova la possibilità di essere in relazione, però il progetto ha saputo rimodularsi. Grazie al potenziamento della comunicazione social abbiamo raggiunto tutti i target interessati dal progetto: con storie animate dei paesi del mondo per i bambini; con i ricordi degli anziani diffusi via video, con le pillole educative e psicologiche, con le ricette di cucina e così via. È nato il "Pronto Tam Tam, un telefono amico che ha offerto supporto psicologico e compagnia ad anziani soli o persone in difficoltà, abbiamo creato l'iniziativa "La scuola per tutti" per sostenere economicamente le famiglie che non potevano permettersi l'acquisto di un device ed accedere così alla didattica a distanza. Le Asa di comunità hanno continuato il loro compito e a volte erano le uniche a poter far visita ad alcuni anziani. I Tutor famiglia non hanno abbandonato i loro casi e hanno proseguito a distanza gli incontri e gli interventi. Appena la pandemia ha allentato la morsa abbiamo rimesso in contatto gli anziani delle comunità attraverso l'iniziativa benefica dei “Quadrotti Tam Tam” (ndr. un’iniziativa in cui i cittadini hanno realizzato insieme coperte per i senza tetto, ne abbiamo parlato in questo articolo) e abbiamo a poco a poco, in sicurezza e con le dovute precauzioni, ripreso gli incontri in presenza organizzando tornei tra ragazzi, serate di ginnastica posturale all'aperto in luoghi caratteristici dei paesi, camminate per ragazzi.
Tra tutte le innovazioni introdotte grazie al progetto, qual è stata la più significativa? Oltre alle figure del facilitatore come raccordo tra associazioni, cittadini, servizi e amministrazioni, e il tutor famiglia, mi viene in mente lo strumento dei “dialoghi comunitari di rete” che ha reso protagonista nella lettura di bisogni e nella progettazione delle risposte un’intera comunità. Si tratta di una tecnica su cui ci siamo formati, con l’aiuto dei referenti dell’Università Cattolica dott.sa Landi e dott.ssa Calcaterra, per realizzare incontri dialogici fra i membri della comunità e gli operatori coinvolti, per programmare interventi che portassero al miglioramento delle comunità stesse, in presenza di una preoccupazione condivisa. Negli incontri dei dialoghi di rete (o dialoghi di futuro) i principali referenti della comunità, come i dirigenti scolastici, i parroci, i rappresentanti delle associazioni, i volontari, si riunivano e si “proiettavano nel futuro” immaginando, utilizzando questo metodo, che le preoccupazioni fossero già risolte. E su questa proiezione si lavorava per progettare insieme gli step. A Delebio, per esempio, la preoccupazione più sentita dalla comunità era l’integrazione degli stranieri e il gruppo ha lavorato proponendo idee e azioni per risolvere il problema, coprogettando e assumendosi impegni. La scuola, ad esempio, ha beneficiato di una mediatrice culturale per favorire l’integrazione delle famiglie straniere (ndr. ne abbiamo parlato in questo articolo), L'oratorio ha messo a disposizione degli spazi di incontro, la Biblioteca è diventata la sede del Tam tam bimbi, ecc… I dialoghi comunitari di rete sono stati lo strumento per progettare con la comunità le azioni del progetto. Questo permetteva al facilitatore di avere già il planning del programma e i contatti con le persone. Sempre portando l'esempio di Delebio, che è stato particolarmente virtuoso anche se non è stata l'unica realtà dove sono stati realizzati i dialoghi. Grazie a questo strumento il facilitatore ha iniziato il suo lavoro di comunità forte di una rete di soggetti disponibile e profondamente coinvolta (un vero e proprio tavolo di progettazione) che aveva già fissato il primo incontro operativo e deciso chi avrebbe collaborato per creare strumenti per facilitare il dialogo scuola/famiglia; realizzare incontri multiculturali; dare vita al Tam Tam bimbi; realizzare la Festa dei popoli, supportare alcuni rifugiati nel conseguimento della patente e progettare strada facendo altre iniziative di questo tipo.
Ma penso anche all’azione che abbiamo chiamato “Azione formativa sugli amministratori” che ci ha permesso di leggere insieme gli effetti del Covid sul territorio e in particolare sulla realtà dei giovani e di avere uno scambio sulle politiche giovanili. Con la conclusione della fase di lockdown legata all’emergenza Covid-19, abbiamo proposto alle 25 amministrazioni comunali del progetto degli incontri in video-conferenza con l’obiettivo di rilevare problemi, i bisogni e le risposte del welfare territoriale all’emergenza Covid-19. Le 25 amministrazioni comunali del progetto sono state ingaggiate in un percorso formativo a distanza a cui hanno risposto positivamente 21 amministratoti (…) in rappresentanza di 16 comuni. E l’esito del percorso, molto apprezzato dai partecipanti, è stata la scelta di sperimentare alcuni interventi pilota, sul tema adolescenti e giovani nell'ambito dei bandi estate promossi da Regione Lombardia.
Che cosa è accaduto che non era stato previsto? E cosa non è accaduto e il progetto non è riuscito a realizzare? Penso che l’inaspettato siano la vitalità e il posizionamento del progetto avvenuti durante il periodo più duro del lockdown. Un progetto di comunità che per antonomasia dovrebbe concretizzarsi nelle relazioni e nella realizzazione di eventi, incontri e attività di gruppo nel periodo in cui tutto questo non era realizzabile ha mantenuto il suo mandato con creatività utilizzando gli strumenti a disposizione e rimodulato temporaneamente gli obiettivi ma non perdendo di vista i bisogni della comunità e le delle diverse parti che la compongono. Naturalmente il Covid ha segnato profondamente l’andamento del nostro progetto: con il famigerato 9 marzo 2020 è iniziato il lockdown anche per noi, proprio nel momento in cui, in molti territori, mesi di incontri, contatti, riunioni stavano per trasformarsi in attività strutturate dei Punti Tam Tam. Tutte le attività in presenza sono state sospese e il gruppo dei facilitatori si è trovato a dover scegliere tra l’aspettare una linea chiara di evoluzione della situazione o il cercare di mantenere vivo almeno il contatto con la comunità. Gli obiettivi che ci si è dati in quel periodo sono stati principalmente due: tenere vivo il progetto e i contatti con la comunità e rispondere ai bisogni che questa esprimeva direttamente o indirettamente a causa dell’emergenza sanitaria.
Dato che abbiamo trovato in ogni comune reti e organizzazioni pronte ad intervenire con competenza sui bisogni essenziali che venivano a delinearsi (spesa, mascherine, medicinali), come progetto abbiamo pensato di prenderci cura degli aspetti relazionali, sociali e psicologici della pandemia. Ci siamo impegnati a potenziare la comunicazione del progetto attraverso i social, cercando di far rivivere attraverso i post di Facebook e Instagram e l’interazione con le persone già vicine al progetto, quelle attività che erano partite (o erano in procinto) nei diversi comuni.I post hanno mantenuto vivo il progetto, lo hanno pubblicizzato, hanno raggiunto molte persone nuove, hanno intrattenuto, sostenuto, divertito…fatto sentire la vicinanza del progetto e dei suoi operatori a chiunque lo volesse.
Tam Tam ha poi pensato di fare un altro passo verso la comunità attraverso il servizio di ascolto telefonico “Pronto Tam Tam”. Il numero del “Pronto Tam tam” ha offerto consulenze educative e psicologiche, aiuto per la didattica a distanza, consigli fisioterapici, ascolto e conforto per gli anziani soli, colloqui con l’Assistente Sociale.Nel frattempo, siamo venuti a conoscenza del forte bisogno di devices da parte di diverse famiglie che, per problemi economici, rischiavano di restare escluse dalla didattica a distanza. Con alcuni soggetti della rete di Tam Tam a capo del progetto Con-tatto 4.0, abbiamo quindi lanciato una campagna “La scuola a casa per tutti?!” con l’obiettivo di raccogliere fondi per acquistare Sim, tablet e pc da donare alle famiglie. La campagna è stata supportata anche dal fondo solidarietà Tam Tam e ha permesso di raccogliere donazioni economiche e materiali che hanno aiutato molte famiglie. Sono state donate una ventina di connessioni e Pc. In questa occasione le reti del progetto si sono rafforzate (con Genitori in Rete, Acli) o create, in particolare attraverso la collaborazione con la Protezione civile locale e il Soccorso Alpino (che si sono occupati della distribuzione e raccolta di pc, Sim ecc.), con i dirigenti scolastici dei diversi Istituti Comprensivi e molti insegnanti.
Particolarmente fruttuosa è stata la cooperazione con l’Istituto Saraceno e in particolare con due classi del corso informatico: una ventina di ragazzi si sono offerti per sostenere le famiglie in difficoltà con l’utilizzo degli strumenti informatici creando dei tutorial esplicativi e rendendosi disponibili per fornire assistenza telefonica a distanza. Un’altra iniziativa ha permesso al progetto di raccogliere ulteriori donazioni per il fondo di solidarietà: la realizzazione di mascherine cucite a mano dal personale e da alcune ospiti e volontarie della Cooperativa La Breva, partner di progetto. Sollecitati da diverse famiglie che si sono trovate a dover comprendere i bandi per accedere alle varie misure d’aiuto regionali e nazionali (per il bonus affitti, mutuo, pc ecc), abbiamo realizzato dei post esplicativi per facilitare l’accesso a questi strumenti e abbiamo offerto la nostra consulenza per preparare le richieste.
È poi nata l’esigenza di riprendere i contatti con il mondo dei bambini, dei ragazzi e dei giovani. In attesa di poterli rivedere di persona abbiamo collaborato con l’amministrazione di Dubino per la realizzazione di un giornalino, poi abbiamo proposto un concorso artistico (“cornici di futuro”) che chiedeva ai ragazzi di immaginare il loro futuro all’interno della loro comunità. Sono arrivati 209 lavori, anche grazie all’adesione delle reti. Numerosi comuni ci hanno aiutato nella comunicazione, hanno messo in palio altri premi interni e hanno organizzato premiazioni locali oltre alla nostra, che ha visto l’assegnazione di tre tablet ai vincitori. Avvicinandoci a un’ipotetica riapertura, abbiamo cominciato a pensare a quali bisogni potevano andare incontro le famiglie del nostro territorio e abbiamo pensato al bisogno di conciliazione famiglia/lavoro. A questa necessità abbiamo unito una proposta formativa ed è nato così il corso baby sitter: un corso online che ha permesso di preparare 21 baby sitter e, allo stesso tempo, di redigere un registro informale a disposizione delle famiglie che necessitavano di un aiuto in casa. Anche qui va evidenziata la ricchezza data dalle conoscenze del progetto: il Consultorio ha offerto la collaborazione della propria infermiera pediatrica e il Comune di Morbegno quella del cuoco dell’asilo nido per completare e arricchire i moduli educativi, animativi e psicologici proposti dagli operatori del progetto. Il corso è stato riproposto anche a novembre e, grazie alla collaborazione con l’Istituto Saraceno e con il Liceo Nervi Ferrari, abbiamo avuto 110 ragazzi partecipanti.
Per indagare il rapporto tra individuo e dimensione comunitaria è partita la proposta di un laboratorio di autobiografia online. Si è creato un gruppo di 21 persone che in 7 incontri “virtuali” ha potuto scandagliare questa dimensione della vita di ciascuno e anche della propria comunità di appartenenza. A posteriori credo che la pandemia abbia fatto emergere e abbia reso evidenti le potenzialità del progetto, peccato però che il periodo successivo al lockdown abbia protratto le restrizioni e abbia così impedito di far fruttare a fondo i semi di welfare caduti sul territorio. Nonostante questo, il progetto si è chiuso con un buon riconoscimento da parte degli amministratori e forti legami con le associazioni e con i partner. TamTam non è riuscito a lasciare un’impronta identitaria così forte da trovare un proseguimento ufficiale come TamTam, però sono seguite diverse progettazioni e altre ne stanno nascendo che partono proprio dagli apprendimenti e dei lasciti del progetto. A noi sembra che comunque sia vivo in altri interventi e in collaborazioni che non erano scontate.
Quali sono state le principali difficoltà? A mio parere, oltre alla già troppe volte citata pandemia che ha impedito l’effettiva realizzazione del progetto per come era stato pensato, un'altra difficoltà rilevante con cui sapevamo fin dall'inizio di fare i conti è stata la conformazione territoriale (a volte diventa una scusa per giustificare una forma mentis chiusa e campanilistica!) che spesso non ha permesso di rendere trasversali le diverse iniziative. A volte alcune attività che volevamo rendere "di tutti i 25 comuni" e che quindi abbiamo realizzato in modo diffuso (ad es. l'iniziativa dei quadrotti o il concorso "Cornici di futuro" o le varie iniziative di Fundraising) hanno funzionato ma non sono diventate successivamente spinta per collaborazioni continuative tra i comuni, anche limitrofi. Un'attività come la Color Run (una camminata pensata anche simbolicamente proprio per valorizzare e unire tutti i territori (si partiva da 5 diversi punti per poi confluire in unico spazio) non è riuscita a coinvolgere tutti i comuni del progetto. Le singole iniziative hanno avuto un "successo" poco contaminante, sicuramente anche a causa di una rete di trasporti pessima che ha reso molto difficile tutto. Ad esempio, l’attività per i ragazzi "Uno spazio per te”, un’attività ricreativa settimanale per chi frequenta le medie e che propone diverse iniziative, è nata con l'intenzione di intercettare i giovani della costiera dei Cech, ma, avendo come centro Traona, è rimasta a tutti gli effetti, ad oggi, "solo" per i ragazzi di Traona.
Un’altra difficoltà sono stati i cambi delle amministrazioni che hanno comportato ripartenze, lungaggini, interruzioni. Qui l'esempio più eclatante è stato quello della "saletta giovani" del comune di Valmasino. Dopo molte peripezie per trovare lo spazio, adattarlo alle esigenze dei giovani, costruire il gruppo dei ragazzi, quando finalmente si era pronti a partire dopo il Covid, il cambio amministrazione ha chiuso definitivamente le porte della saletta. Non c'è stato il tempo materiale per ricostruire i rapporti e la fiducia necessari con i nuovi interlocutori affinchè si portasse a compimento il lavoro iniziato.
C’è una storia che più di ogni altra racconta il progetto? La storia che ci piace maggiormente ricordare perché rappresenta un po' l'obiettivo ideale del progetto è ciò che è successo a Delebio: l’esperienza del dialogo comunitario di rete, la partecipazione attiva di un gran numero di cittadini e associazioni (scuola, Proloco, oratorio, sindacati, biblioteca…) con l’obiettivo comune di realizzare un effettivo coinvolgimento delle persone di origine straniera presenti nel paese ha lasciato il segno e mostrato un cambiamento possibile alla portata di tutti. Poi penso anche a una storia legata al Comune di Morbegno dove c'era l’obiettivo di far partire attività destinate ai giovani. Dopo un’iniziale ricognizione, abbiamo realizzato una serie di interviste ai ragazzi più rappresentativi del territorio (musicisti, ragazzi dell'oratorio e di associazioni, sportivi di diverso tipo, studenti di diverse scuole, giovani attivi politicamente, giovani "qualsiasi"). Successivamente con tutti loro (anche se purtroppo in versione online) abbiamo raccolto le loro idee e deciso che questo prezioso materiale andava condiviso con tutta la comunità per provare ad immaginare insieme delle azioni concrete per fare in modo che Morbegno tornasse ad essere maggiormente dei giovani. Abbiamo convocato una riunione a cui hanno partecipato i referenti della comunità e naturalmente i giovani. Loro hanno portato i loro desideri e bisogni (luoghi dove ritrovarsi, fare musica, ma anche luoghi dove semplicemente mangiare insieme dopo la scuola), ma soprattutto la richiesta di essere ascoltati e avere un ruolo più da protagonisti nella comunità. È nato un gruppo che si è chiamato “Assembramenti” che, dopo un lungo percorso e la sperimentazione è arrivato fino ad oggi, a progetto finito, ad appropriarsi da protagonista di uno spazio comunale gestito da una cooperativa di progetto, il “Lokalino”. Il gruppo Assembramenti non esiste più (il nome non era più rappresentativo), ma tanti suoi elementi, a cui se ne sono aggiunti altri, sono rimasti e organizzano le iniziative. Uno dei ragazzi del gruppo è anche diventato un operatore dello spazio!
Che cosa resta sul territorio che prima non c’era? Resta l’esperienza di una rete forte che ha affrontato le difficoltà con unità e appreso la ricchezza del lavorare insieme unendo competenze e conoscenze diverse. Restano le diverse progettualità che sono nate dalle collaborazioni della rete e dall’esperienza di progetto, alcune anche senza il coinvolgimento di chi le aveva proposte, ma che sono comunque testimonianza di contaminazioni importanti. Sono rimasti "Uno spazio per te" e il Lokalino (tra l'altro due punti Tam Tam del progetto), è rimasta la naturalezza del chiamarsi fra i partner o, da parte delle assistenti sociali dell'Ufficio di Piano, di chiamare un (ex) facilitatore per avere un'informazione sul territorio. Restano le molte famiglie e le persone che sono state aiutate grazie al "Fondo povertà" gestito dall'Ufficio di Piano e alle figure del Tutor famiglia e dell'Asa di Comunità.
Quali sono i progetti futuri a cui state pensando, innescati grazie anche all’esperienza e apprendimenti del progetto? Alcuni esistono già: "Tessere reti", un progetto sull'ambito di Morbegno e Propositivi, un progetto provinciale. Entrambi, anche se in modo diverso vedono la presenza dei partner di progetto e di reti costruite lungo il percorso e lavorano sulla povertà economica, relazionale ed educativa. Entrambi hanno permesso di mantenere viva la figura del tutor famiglia. Nel progetto "Tessere reti", in particolare, le associazioni e le cooperative coinvolte, in collaborazione con le assistenti sociali, hanno assegnato a dei tutor 8 casi, con un piccolo budget, per accompagnarli in un progetto di cambiamento e miglioramento dell'attuale situazione: un tutor si sta quindi occupando di far conseguire la patenta a una donna di origine straniera per renderla autonoma nella gestione dei figli; un altro sta aiutando un'altra donna a frequentare il corso Asa per poter così trovare un lavoro in grado di mantenere la figlia; un altro ancora segue una ragazza con problemi psicologici a organizzarsi nel suo percorso universitario… Altri progetti, invece, "Funamboli", "Flourish Again", "Raccontami ti ascolto!", sono pensati per i giovani a contrasto del disagio e dell'isolamento e stanno contribuendo a mantenere vivi i punti Tintin di Traona e del Lokalino di Morbegno.
Non c’è più il nome “Tam Tam” ma Tam Tam non si è spento e continua a diffondere i suoi semi!
Benedetto Longobardi è uno dei ragazzi che ha lasciato la valle per studiare a Milano, frequenta il quinto anno di giurisprudenza, ma è anche uno dei giovani che gestisce il “Lokalino”: «Durante la settimana ci troviamo online per programmare le attività e nel week end siamo fisicamente al Lokalino per gestire gli eventi». Il “Lokalino” è l’ultima tappa, anzi il frutto, di una progettazione che nasce da lontano: «Sono stato contattato da Tam Tam fin dalla prima fase di mobilitazione per capire le esigenze dei giovani sul territorio di Morbegno. Nelle interviste parlavamo di quale futuro vedevamo ma soprattutto di quale futuro volevamo. Poi noi del gruppo giovani che avevamo partecipato alle interviste abbiamo fatto una sintesi delle tematiche più rilevanti. A questo punto abbiamo fatto un incontro con le associazioni del territorio e con l’amministratore comunale a cui è seguito il Dialogo di Comunità in cui ci siamo proiettati nel 2024 e da cui sono emerse le linee guida per costruire il futuro che stavamo immaginando. L’esigenza più forte era quella di avere uno spazio libero in autogestione o cogestione dove organizzare conferenze, feste, concerti, ma anche ritrovarsi. Tutto girava intorno alla necessità di avere un luogo fisico. A Morbegno esisteva uno spazio che si chiamava il Lokalino e che anni prima era gestito da ragazzi ma dopo una serie di circostanze era stato dismesso. Il Comune ha fatto un bando ed è stato riassegnato ad alcune cooperative della rete di Tam Tam con il vincolo di progettare tutte le attività con i ragazzi. Da quel momento è iniziata una lunga fase di programmazione: dovevamo capire come muoverci, i vincoli SIAE, i piani sicurezza, la burocrazia. C’è voluta un po’ di pazienza e anche un po’ di studio ma da quattro mesi siamo partiti: organizziamo corsi di produzione musicale e produzione podcast, il cineforum, eventi che chiamiamo Tracks e sono concerti con artisti valtellinesi. Sta andando bene, vengono tanti ragazzi, ma il nostro obiettivo è che il Lokalino sia percepito come un punto di riferimento anche per studiare, per vedere amici, come un luogo di aggregazione spontaneo. Se io ho speso così tanto tempo per la rinascita del Lokalino è perché a Morbegno era fondamentale avere uno spazio così. Morbegno è un luogo tranquillo e non degradato ma, soprattutto dopo il Covid, c’è tanto disagio psicologico tra i giovani. Creare spazi e situazioni per uscire dal disagio, ma anche per prevenirlo, per coltivare passioni e relazioni, per non essere soli, è davvero importante».