Prendersi cura di chi si prende cura

Dal progetto “Milano Sei L’altro” sono nati in città nuovi luoghi e nuove modalità per conciliare vita, lavoro, famiglia

Data di pubblicazione: 31 Maggio Mag 2021 1051 31 maggio 2021

Crediamo che l’attivazione della comunità sia la vera risorsa per dare avvio a soluzioni nuove “più grandi della somma della disponibilità di ognuno”

Milano Sei l’Altro, un progetto sostenuto dalla seconda edizione del bando Welfare di Comunità di Fondazione Cariplo, nasce a Milano nei Municipi 4 e 6 con l’intento di promuovere un nuovo modello di welfare comunitario e integrato per favorire la conciliazione vita, lavoro e famiglia. Ha concentrato i suoi interventi su uomini e donne lavoratori con carichi di cura, figli minori e familiari non autosufficienti e donne disoccupate proprio a causa dei carichi di cura. Fin dal principio, ha coinvolto le imprese del territorio (piccole, medie e grandi) non solo nella messa a disposizione di risorse, spazi e competenze per la comunità locale, ma anche nell’ideazione di processi di coproduzione per innovare l’offerta di welfare aziendale aprendosi alla comunità circostante.

A partire dalla consapevolezza che il tema della conciliazione non riguarda solo la sfera privata delle persone ma tocca da vicino tutti i soggetti del territorio: imprese, enti non profit, il privato sociale, i movimenti cittadini, le amministrazioni pubbliche

Milano Sei l’Altro (un partenariato di Spazio Aperto Servizi-ente capofila-; Comune di Milano; Sis; Comunità del Giambellino; Fondazione Enrico Mattei; A&I; La Cordata; Solari6) si è avvalso del supporto di manager di comunità e di facilitatori per aiutare i cittadini a riconoscere i propri bisogni, aggregarli e, sulla base di questi, co-produrre nuovi servizi o migliorare i servizi esistenti.

Dal progetto sono nate in alcune zone della città, all’interno di esercizi commerciali, farmacie, librerie, bar le Isole di Wendy che inizialmente dovevano essere luoghi dedicati alla cura, all’allattamento e alle attività di aggregazione per bambini e che in seguito sono diventati anche spazi di confronto e apprendimento per favorire relazioni tra genitori; lo Spazio Vivi Voltri Lab, all’interno del complesso di housing sociale di Via Voltri nel Municipio 6 che è diventato un punto di riferimento per gli abitanti e per i cittadini del quartiere; lo Spazio Melotti, nel quartiere di nuova realizzazione Santa Giulia, che è stato un primo e importante luogo di incontro per gli abitanti e attualmente è gestito interamente dalla neo costituita associazione di Spazio Melotti.

Milano Sei l’Altro ha movimentato un grande numero di persone, luoghi, aziende (13.668 cittadini raggiunti, 135 realtà attive, 34 luoghi attivati o riattivati come luoghi di comunità, 136 volontari formati, 58 aziende). In particolare, il coinvolgimento delle aziende che nelle prime fasi ha incluso due grandi società come Poste Italiane e Vodafone, si è rivelata un’azione particolarmente sfidante e che talvolta ha avuto esiti diversi dagli obiettivi iniziali ma che ha rappresentato comunque un grande apprendimento nel percorso di co-progettazione, come ci racconta Francesca Savi, la project manager di Milano Sei L’Altro.

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Prima dell’inizio del progetto, quali erano i problemi principali dei quartieri individuati ai quali volevate dare una risposta?

La scelta di partire dai Municipi 4 e 6 è stata generata dal fatto che in queste zone la rete di partenariato è molto radicata. Far nascere un progetto così sfidante in un contesto meno conosciuto avrebbe reso più difficile coinvolgere le realtà locali perché il tema della fiducia e delle relazioni è un elemento fondamentale per poter davvero attivare i cittadini, le aziende, e la società civile.

E ora, 5 anni dopo, che cosa è cambiato grazie agli interventi?

Soprattutto nel Municipio 6 e in parte anche nel 4, esistono ora luoghi, spesso inediti come farmacie, librerie, caffè, spazi riqualificati, che sono diventati spazi di scambio e confronto, al fuori dalla logica del servizio. Lo spazio di Via Voltri ad esempio ha da subito catalizzato la presenza di persone del contesto abitativo di Via Voltri e di persone coinvolte grazie ai manager di comunità (operatori sociali attivi nel quartiere, attraverso servizi di custodia sociale, di aggregazione e servizi domiciliari) e ha rappresentato un’occasione per entrare in contatto con persone e famiglie del quartiere e una possibilità per dare vita a nuove reti e relazioni e per attivare processi di comunità generativi.

ViVi Voltri Lab è oggi un luogo per le famiglie e i cittadini in cui potersi incontrare, conoscere, confrontare e avere accesso a servizi utili per semplificare la vita di tutti i giorni, è lo spazio che ospita la piattaforma WEMI del Municipio 6. Tra le altre cose, le mamme che lo animano hanno dato vita alla sartoria di quartiere, dove lavorano donne di etnie diverse e a laboratori con i bambini, tutte attività nate dal bisogno portato dalle persone. Nello spazio compiti gestito in collaborazione con la parrocchia del Santo Curato d’Ars le attività si sono ampliate con il coinvolgimento sempre più attivo dei genitori, in particolare delle mamme dei bimbi che abitualmente frequentavano lo spazio compiti.

Anche la Scuola delle mamme, servizio del partner Comunità del Giambellino, è diventata una delle Isole di Wendy, andando oltre l’attività prioritaria di insegnamento della lingua italiana, per essere riconosciuto come punto di riferimento aperto a tutta la comunità del Giambellino, con una partecipazione nuova e inedita da parte di mamme straniere. Le mamme che prima partecipavano alla scuola di italiano sono diventate protagoniste delle attività che si sono sviluppate nello spazio: corsi di cucina, attività sartoriali, lettura di fiabe, spazio gioco per i bimbi. Nel frattempo, per loro sono stati avviati percorsi di orientamento al lavoro. Tutta questa esperienza ha portato poi un gruppo di mamme egiziane a partecipare alla call for ideas proponendo un progetto (che è risultato poi tra i vincitori) per avvicinare i bambini di diverse etnie alle loro tradizioni, attraverso il racconto di fiabe in lingua araba, inglese e italiana.

Poi ci sono le Isole di Wendy, che hanno avuto un’evoluzione molto interessante rispetto all’idea iniziale. Infatti in una prima fase, grazie alla disponibilità di Humana, sono state collocate all’interno di esercizi commerciali, come farmacie, librerie per bambini, bistrot, fasciatoi e sedie di allattamento. Dovevano essere luoghi dove accogliere i neogenitori, ma poi gli esercenti si sono rivelati molto disponibili e, con quelli più attivi, abbiamo creato momenti di formazione e incontri con psicologi, nutrizionisti, letture per i bambini, lavorando sul tema della neogenitorialità. Il calendario delle iniziative si è strutturato ed è proseguito in tutte le 29 isole. Il lockdown naturalmente ha temporaneamente sospeso le attività ma, nel frattempo, le isole sono diventate anche i fulcri del progetto “Dipende da Come mi abbracci”, sostenuto da Impresa Sociale Con i Bambini, per trasformarli anche in luoghi di intercettazione precoce di difficoltà genitoriale.

Tra tutte le innovazioni introdotte grazie al progetto, qual è stata la più significativa?

Milano Sei L’Altro per noi ha rappresentato un cambiamento culturale e un nuovo modello di lavoro perché se prima ci ponevamo come “erogatori di servizi” adesso tutti i progetti che sono nati negli ultimi anni sono gli esiti di cose fatte con la comunità degli abitanti.

Che cosa è accaduto che non era stato previsto?

Le Isole di Wendy non erano nel disegno progettuale iniziale, per cui per noi sono state una bella sorpresa. Inizialmente avevamo pensato di coinvolgere le piccole e medie imprese rispetto alla possibilità di attivare servizi di conciliazione per dipendenti e abitanti del quartiere, come nidi, palestre per i genitori e spazio giochi per bambini, spazi aperti per la comunità. Ma questa cosa si è rivelata estremamente difficile, ci siamo accorti di aver gettato il cuore un po’ troppo oltre l’ostacolo e ci siamo chiesti come coinvolgere soggetti inediti per diventare risorse per la comunità? Così sono nate le Isole di Wendy, in un primo tempo quindi il tentativo di ingaggiare i piccoli esercizi commerciali sembrava un po’ un ripiego. E invece hanno avuto uno sviluppo inaspettato e sorprendente grazie ai manager di comunità che si sono presi in carico questa azione, ma soprattutto agli esercenti si sono “spesi” su ambiti e temi che non facevano parte del loro business.

Che cosa invece non è accaduto e il progetto non è riuscito a realizzare? Quali sono state le principali difficoltà?

Sicuramente il coinvolgimento delle aziende, che si è rivelato differente rispetto a quanto avevamo pensato in fase di progettazione. All’inizio il progetto aveva la sfida di coinvolgere le aziende anche molto grandi che potessero mettere a disposizione dei loro sistemi di welfare, in una revisione dei modelli aziendali a beneficio non solo dei loro dipendenti ma anche degli abitanti del quartiere.

Ma nel momento in cui abbiamo cercato di concretizzare il progetto abbiamo incontrato molti ostacoli: in alcuni casi sono cambiati gli interlocutori e quindi anche gli interessi prioritari delle aziende. Con un istituto di credito avevamo avviato il progetto di trasformare alcune filiali in sportelli di intercettazione delle difficoltà delle famiglie, posizionando i nostri operatori e dotandoli di strumenti per ricontattare i correntisti in situazioni di criticità. Abbiamo preparato questionari di rilevazione, messo in piedi un lavoro a analisi e definizione del processo con i nostri designer di servizi, ma quando siamo arrivati al dunque c’è stato un cambio di referenti e la messa a terra non c’è stata. Con Poste Italiane, l’idea originaria era di far diventare gli sportelli, che sono diffusi in modo capillare ovunque, in luoghi di ascolto territoriali e di utilizzare i postini come “antenne” sociali. Ma anche in questo caso, per molte ragioni, non è stato possibile concretizzarla. Allora insieme a loro abbiamo pensato di riorientare il progetto in un percorso di ascolto dei bisogni principali dei loro dipendenti e abbiamo avviato una serie di workshop e tavoli insieme a vari soggetti per trovare soluzioni ai bisogni e tradurli in servizi. I temi che sono emersi erano soprattutto quello dell’abitare e della cura di persone non autosufficienti, perché molti dipendenti erano over 50 e avevano genitori di cui prendersi cura.

E in effetti, da questa co-progettazione, sono nate idee più definite e possibili soluzioni come per esempio nuove forme di risparmio e nuove forme abitare condiviso. Ma che ancora, anche in questo caso, non hanno trovato una realizzazione. Quindi il percorso più compiuto non è ancora del tutto compiuto. Allo stesso tempo sono certa che, nonostante le difficoltà, ci siamo portati a casa nuove capacità come quella di confrontarci con le “dinamiche” delle grandi aziende, molto differenti (in termini di tempi e processi decisionali) e nuove alleanze.

C’è una storia che più di ogni altra racconta la trasformazione che il progetto ha generato?

Forse quella dello spazio Melotti, nel quartiere Santa Giulia. In un luogo di nuova realizzazione le relazioni tra persone sono ancora poco consolidate, la maggior parte delle persone utilizza il quartiere come dormitorio, per poi andare a lavorare e a “vivere” altrove. Quando la presenza di bambini piccoli costringe i genitori ad una maggiore frequentazione del quartiere dove vivono e le distanze diventano più importanti, trovare nel quartiere un luogo dove potersi incontrare, dove conoscere persone con le stesse caratteristiche, diventa fondamentale per sentirsi parte di una comunità. Molti soggetti locali (sia singoli che associazioni) hanno aderito al progetto e hanno contribuito ad animare lo Spazio con le proprie attività, alcune facendone la loro sede di azione principale. Da questo nucleo iniziale di persone siamo partiti per consolidare a poco a poco la collaborazione con le realtà del quartiere, quelle già attive e quelle di nuova costituzione, fino a rendere ipotizzabile e poi concreta l’idea di costituire un’associazione che potesse prendere in mano la gestione dello Spazio quando il progetto Milano Sei l’Altro fosse terminato. Dopo un periodo non breve di interlocuzioni, di richieste alla proprietà dell’immobile, di tentativi di organizzare il tutto, l’intenzione di creare l’associazione da parte delle realtà che gravitavano intorno a Spazio Melotti si è concretizzata e adesso, a progetto finito, lo Spazio Melotti è aperto e funzionante proprio grazie alla neonata associazione.

È sede dei Gas, laboratori, momenti formativi e ludici e si anima di quello che le persone propongono.

Quali sono i progetti futuri a cui state pensando, innescati grazie anche all’esperienza e apprendimenti del progetto?

Tutto quello che è nato con Milano Sei l’altro, ha avuto una prosecuzione all’interno di altri progetti (Progetto Governare gli Equilibri, progetto Reaction, Hub dell’Innovazione sociale, Scuola dei Quartieri, progetti Doniamo Energia, ecc), nei quali si mettono in campo le modalità di lavoro sperimentate con Milano Sei L’Altro, sia con i cittadini (processi di co costruzione e co progettazione di nuove idee/servizi), sia con le PMI e con le aziende. Ci siamo aperti: alle imprese, al singolo cittadino che vuole mettere risorse che non sono solo economiche: la sfida di coinvolgere soggetti inediti è diventato modello di lavoro. Abbiamo imparato a mescolare linguaggi e punti di vista.

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Alberto Tavazzi è un community manager ma è anche un abitante del quartiere Santa-Giulia. Ha partecipato alla costruzione dello Spazio Melotti e ora fa parte dell’associazione che lo gestisce: «Quando grazie a Milano Sei L’altro si è deciso di attivare uno spazio nel quartiere, abbiamo individuato un negozio di proprietà di una cooperativa. Ma era un luogo grezzo, non c’era nemmeno la pavimentazione. È stato ristrutturato, pavimentato, abbiamo fatto costruire una scala ed è diventato uno spazio accogliente.

Abbiamo iniziato un percorso di attivazione dei cittadini e contattato le associazioni che già operavano nel quartiere.Ci siamo accorti che c’era “fame” di uno spazio di aggregazione, perché Rogoredo-Santa Giulia è un quartiere molto freddo, costituito da case, terziario e bar che lavorano sul terziario, manca molto la dimensione sociale che invece è presente in altri quartieri di nuova costruzione come Redo. Abbiamo lanciato una call tra i cittadini e avviato attività in linea con tematiche di Milano Sei L’Altro. Abbiamo creato uno spazio con fasciatoio per i genitori, fatto partire un gruppo di acquisto per le famiglie del territorio, aperto una piccola biblioteca e lanciato una serie di laboratori per i bambini. In tutto questo, abbiamo fatto un percorso di coinvolgimento con i cittadini e le associazioni che non solo proponevano le attività, ma anche le gestivano. Perché fin dal principio il nostro obiettivo era di dare continuità al progetto, anche una volta terminato Milano Sei L’altro. E in effetti è stato così: a gennaio 2020 ci siamo accordati con la proprietà che ci ha affittato lo spazio a prezzi molto agevolati e si è costituita l’Associazione Spazio Melotti che è composta da cittadini e associazioni e che prosegue in modo veramente coerente tutto quello che è stato avviato con Milano Sei L’Altro. Con il Covid abbiamo vissuto un anno un po’ faticoso naturalmente, però adesso tutte le attività stanno riprendendo. Il Gas è diventato un progetto enorme: se all’inizio facevamo acquisti per 500 euro al mese adesso viaggiamo sulle 8000 euro e ci sono 20 volontari che gestiscono tutte le consegne e gli ordini. Tutti i lunedì ci sono i laboratori artistici per i bambini, il mercoledì il musical in inglese, il giovedì il Gas, il venerdì è la giornata del benessere e sono in programma attività per gli ultrasessantenni e anche corsi di shatszu. Alcune attività sono a pagamento, altre gratuite. Poi ci sono attività meno continuative ma che nascono da iniziative degli abitanti, legate alle loro passioni o alla loro professione, come il laboratorio per imparare come funziona il microscoscopio. Il sabato e domenica ci sono attività di animazione con i bambini e una volta al mese lo scambio libri che sta funzionando benissimo. Ultimamente, in collaborazione con la scuola del quartiere, abbiamo avviato il Pedibus e anche una serie di incontri insieme all’associazione “Parlami” di Rogoredo, composta da medici, psicologi, logopedisti: serate di approfondimento su temi legati alle difficoltà scolastiche e all’approccio con bambini con disagio. E poi c’è il Centro Estivo per i bambini della scuola materna che apre in tutti i periodi di chiusura delle scuole e partirà anche quest’estate, anche se in numeri più ridotti a causa del Covid.

Siamo felici perché lo Spazio Melotti continua a essere vivace, nonostante il periodo difficile che stiamo vivendo.

Alberto Tavazzi, Community Manager

A Milano molte persone in questo momento si stanno prendendo cura di qualcuno, grazie a Milano Sei L’Altro alcune di loro si stanno sentendo meno sole.

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