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Desio e Monza, luoghi non comuni per le persone con disabilità grazie a TikiTaka

Data di pubblicazione: 28 Marzo Mar 2022 1059 28 marzo 2022

La prima cosa che Anna ha detto di aver messo in valigia quando è andata a vivere a Casa Stefania sono i gioielli. «Falsi» precisa sua madre, la signora Franca, «Falsi o veri non importa» ribatte Anna. Anna e Franca sono sedute al tavolo della cucina dove Franca ha cucinato per lei e per sua figlia per molti lunghi anni, fino a quando Anna nel 2019, poco prima del suo cinquantesimo compleanno, è andata a vivere a Casa Stefania, uno degli appartamenti destinati a persone con disabilità nato grazie a TikiTaka, un progetto sostenuto dalla terza edizione del bando Welfare di comunità di Fondazione Cariplo.

Che cos’è TikiTaka e come ha trasformato il territorio in cui è nato, quello di Desio e Monza, lo racconta Giovanni Vergani, il responsabile di progetto:

il nostro obiettivo era quello di innovare il sistema di welfare in sostegno delle persone con disabilità perché fossero percepite non solo come peso, ma anche come risorsa per la comunità

Giovanni Vergani, responsabile di TikiTaka

Quando abbiamo cominciato, nel 2017, avvertivamo una rigidità nel sistema dei servizi, le risposte erano molto schematiche, per esempio esistevano azioni pensate per tipologia di disabilità ma non per età, specifiche sulla fascia adolescenziale, e poi c’era molta parcellizzazione: esistevano tante iniziative ma pochi scambi tra le realtà che operavano in questo ambito, i tavoli di incontro e lavoro erano più formali che sostanziali».

Prima di decidere che cosa fare, TikiTaka decide di capire come farlo: «Nei primi sei mesi abbiamo lavorato sul metodo, e ci siamo basati sui Lab e sui Fab. I Lab erano dei laboratori di pensiero che coinvolgevano la comunità, pubblico, privato sociale ma anche le persone con disabilità, i loro genitori e cittadini e organizzazioni non tipicamente legate alla disabilità, come società sportive e culturali. Ci siamo incontrati in tavoli progettuali per lavorare sulle relazioni di comunità e sulle competenze che ciascuno di noi aveva, creando uno spazio per ideare azioni, legate a tempo libero, inclusione in ambito produttivo, sport. Quelli che abbiamo chiamato “Fab” sono invece le azioni concrete che sono state realizzate sui territori.

Ogni azione è stata un incontro di passioni e interessi condivisi, con l’obiettivo di costruire una comunità più bella per tutti

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Il percorso di TikiTaka si muove in diverse direzioni. Quella legata all’autonomia abitativa che, in cinque anni, ha fatto nascere 18 realtà, come quella di Casa Stefania, dove vive Anna, Casa di Giada, o Casa Rosa: «Casa Rosa è stata un’esperienza particolare legata al tema dell’abitare, perché tre famiglie hanno acquistato un appartamento per le figlie che avevano fatto un percorso di autonomia e che poi hanno deciso di vivere insieme in modo permanente. In tutti questi progetti è prevista una fase di avvicinamento all’autonomia, in cui si lavora per gruppi e le persone dormono nell’appartamento una o più notti al mese fino ad arrivare poi alla residenzialità stabile: ogni progetto è costruito sulla singola persona, perché ognuno ha esigenze e tempi diversi per lasciare la famiglia e vivere da solo. E ha coinvolto anche famiglie con figli giovani per spostare il pensiero del “Dopo di Noi” al “Durante noi”». Un cambiamento che è molto chiaro nelle parole di Franca, la mamma di Anna: «da quando mi sono separata vivevamo sole io e lei, pensavo a tutto io. Poi sono caduta e mi hanno ricoverata, Anna è rimasta sola. Poco tempo dopo, ho subito un’operazione e ho pensato che dovevo assolutamente trovare un posto dove sistemare Anna, non potevo rimanere col pensiero di lasciarla sola se mi fosse successo ancora qualcosa. Sono andata dalle assistenti sociali e mi hanno proposto una soluzione all’interno di una comunità ma io non volevo, Anna è una che se la cava, si sa muovere, da quando è piccola ho cercato di renderla autonoma. Poi gli educatori del centro che frequentava Anna mi hanno proposto Casa Stefania, a Lissone, e io ne ho subito parlato con lei». La risposta di Anna è stata entusiasta: «Ho fatto i salti di gioia, volevo vivere fuori casa, il mio sogno era sempre stato quello di avere una famiglia, ero felicissima all’idea di abitare con altre persone» Per un anno e mezzo Anna frequenta Casa Stefania, insieme agli educatori e ai suoi tre futuri inquilini, mentre l’appartamento viene ristrutturato, sceglie le piastrelle, l’arredamento, pranzano insieme. Finiti i lavori dormono lì una notte al mese, poi due. Fino a quando arriva il momento di fare la valigia, con i gioielli falsi, le lenzuola, gli asciugamani e tutto quello che trasporterà Anna dal mondo materno a quello dell’autonomia. La prima notte della nuova vita è inevitabilmente un momento dolceamaro, come quello che arriva per ogni madre e ogni figlia che lascia il nido: «è come quando tua figlia si sposa e se ne va, mi mancava tanto ma sapevo che era contenta e se è contenta lei sono contenta anche io» dice Franca, «Non sono riuscita a dormire nemmeno un’ora, ero agitata, emozionata, ma non ho mai pensato di tornare a casa perché quello era il posto dove volevo stare» aggiunge Anna. Anna ora vive con altre tre persone e un assistente famigliare. Fanno i turni per occuparsi delle proprie stanze e per fare i mestieri. Insieme vanno al cinema, a fare trekking, frequentano il paese insieme ai volontari “Amici di Casa Stefania”, ma anche ai cittadini e ai vicini di casa con i quali nel corso del tempo si sono stabilite relazioni: «Ogni tanto tra noi inquilini litighiamo ma sempre per cose stupide come i programmi da vedere alla tele però andiamo molto d’accordo, è più facile vivere con loro che con la mamma! Con lei ci vediamo una volta alla settimana» continua Anna. «Però ci sentiamo tutte le sere» aggiunge Franca, «Si, ma sono sempre le solite cose, che cosa hai mangiato, che cosa hai fatto» scherza Anna.

Oltre all’housing, TikiTaka si muove sull’asse dell’inclusione legata allo sport: «Abbiamo coinvolto 35 associazioni sportive del territorio: calcio integrato, baskin, pallavolo, altri sport come tiro a segno, atletica. Abbiamo fatto tantissimo, ma la cosa più significativa è che tutte queste azioni non si sono svolte in luoghi ad hoc per persone con disabilità ma in società sportive del territorio aperte a tutti».

Le altre azioni di TikiTaka si concentrano sull’inclusione in ambito produttivo: «Abbiamo, avviato 200 tirocini finalizzati all’inclusione sociale, all’interno di aziende profit del territorio. Nei nostri tavoli di lavoro sono presenti in modo permanente 6 aziende e sono 50 quelle con cui collaboriamo. Nel tempo siamo arrivati a 16 assunzioni. La differenza tra i tirocini finalizzati a inserimento lavorativo e quelli finalizzati all’inclusione sociale è che in questo secondo tipo possono essere assunte anche persone con disabilità al 100%. Il tema è quello di permettere a tutti di fare esperienze di lavoro» spiega Giovanni Vergani e continua: «in questo ambito abbiamo attivato anche tavoli sulla cittadinanza attiva e un esito importante è stato il progetto “Anche io volontario” costruito insieme al CSV di Monza, in cui 15 persone con disabilità sono state inserite come volontarie nelle associazioni del territorio, diventando risorse per la comunità».

Dal lavoro di progettazione di TikiTaka su Arte, Cultura e Tempo Libero sono nati molti progetti: «Sia di tipo sporadico-come i tanti eventi che abbiamo fatto sul territorio, legati allo sport, alla musica, ma anche al gioco-sia attività stabili. Come la scuola di musica di Monza, si chiama “SMS Spazio Musica” ed è accessibile a tutti, non solo alle persone con disabilità. Ci sono 12 insegnanti su diversi strumenti ed è ormai una realtà radicata sul territorio. Oltre alle lezioni di musica si sono attivate collaborazioni sul territorio con centri estivi, dopo scuola, con un centro diurno psichiatrico. Un'altra esperienza molto bella è quella che abbiamo chiamato “Noi giochiamo” su cui il Covid ci ha un po’ “tagliato le gambe” ma che stiamo riattivando. “Noi giochiamo” è nato in un quartiere di Monza a partire da un’esigenza di creare attività in un parco giochi per mediare la relazione dei bambini con disabilità, in maggior parte autistici, con gli altri bambini. Il sabato pomeriggio venivano proposte attività di animazione insieme agli educatori e ha funzionato benissimo, perché attirava tutti i bambini del parco giochi. Ci siamo dovuti fermare a causa del Covid ma adesso stiamo lavorando per riproporre “Noi giochiamo” in un centro sportivo: ci saranno laboratori e attività varie sia indooor che outdoor che coinvolgeranno bambini ma anche ragazzini delle medie»

La rete di TikiTaka è sempre più ampia e forte dentro la comunità, e ha allargato il suo sguardo: «Siamo passati da 8 partner di rete a 26 come nucleo strategico e sono 200 le realtà coinvolte e in cui la comunità è rappresentata in molti modi, ci sono associazioni culturali, sportive, di genitori, fondazioni. Il patrimonio di competenze messe in campo è sempre più ampio e trasversale.

E l’altro grande esito, e anche un po’ inatteso è stato che il fatto di lavorare sulla comunità rendendola più attenta alle persone con disabilità l’ha resa più attenta a tutti. Oggi nella rete abbiamo anche cooperative che si occupano di minori, anziani, famiglie con fragilità. Abbiamo allargato il focus e il raggio d’azione

Giovanni Vergani
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Credo che l’innovazione più grande sia stato proprio il “modello di lavoro” e di approccio che ha portato alla collaborazione concreta e reale di tante diverse organizzazioni. L’incontro tra le differenze e le competenze di ciascuno, la cura costante delle relazioni, nella valorizzazione della singola realtà, ha fatto sì che si potesse davvero piano piano costruire un radicamento importante sui nostri territori, capace di generare e rigenerare risorse umane ed anche economiche. Organizzazioni ma anche persone con disabilità, cittadini, famigliari, tutti insieme per costruire progetti e luoghi in cui poter stare bene insieme. Questo approccio ha fatto si che si siano stati realizzati tanti progetti, iniziative e azioni che piano piano si sono allargati su un territorio sempre più ampio e trasversalmente su diversi contenuti e destinatari, uscendo dalle risposte a “compartimenti stagni” e settorializzate. In questo senso una delle scommesse e innovazioni più grandi è stata quella di iniziare a lanciarsi anche nella gestione di spazi e contesti pubblici, come l’impianto sportivo Spazio Rosmini a Monza. Uno degli aspetti più belli del luogo è proprio quello di osservare le persone mescolarsi, senza la necessità di organizzare per forza iniziative a favore dei giovani o delle persone con disabilità e dei bambini o delle famiglie, ma a partire da un loro protagonismo costruire piano piano insieme un “luogo di comunità”, di relazione e incontro dove ciascuno può sentirsi accolto ed essere parte della sua costruzione».

Nel tempo TikiTaka si è strutturato attraverso tavoli tematici che riprendono i Lab, come “Tutti in campo” nell’ambito dello sport, “Di casa in casa” sull’abitare e ha generato la capacità di trovare risorse proprie, bandi, donazioni, e il sostegno della Fondazione di Monza e Brianza:

Fin da principio si è molto lavorato per la costruzione di progetti condivisi e che potessero essere portati avanti anche dopo il finanziamento di Fondazione Cariplo, e questo certamente è stato uno degli esiti più significativi

Vedere che non solo tanti progetti sono continuati nel tempo, ma che continuiamo a realizzarne tanti di nuovi e sempre più grandi è qualche cosa di inaspettato ed entusiasmante. Quello che non potevamo prevedere, ma che certamente da principio abbiamo desiderato, era vedere tante realtà e persone credere fortemente nella collaborazione, nella costruzione condivisa, nella realizzazione di un nuovo welfare di comunità in cui davvero lo spazio dell’incontro della relazione e della cura reciproca diventano la base di una co-progettazione nelle nostre città. Forse l’inaspettato più grande e bello è che a partire dal lavoro sull’inclusione e sulla valorizzazione delle persone si stia piano piano arrivando a fare passi di reale condivisione su tante questioni e che questo avvenga in modo spontaneo e ricercato, oggi siamo insieme per cercare di dare risposte ai bambini ucraini che arrivano in città, o provare a costruire una visione ed una strategia di coinvolgimento dei giovani per restituire anche a loro luoghi della città in cui incontrarsi».

Un percorso entusiasmante ma necessariamente non privo di difficoltà: «Diverse sono state le cose avviate e poi concluse, anche a causa del Covid e che diventa non sempre semplice riavviare. Anche in questa nuova stagione molto è in evoluzione, dentro quel dinamismo che è tipico dei progetti non precostituiti e che nascono dal basso, dai territori, dalle persone, dalle relazioni. Uno degli aspetti difficili e sempre in costruzione e ricerca è quello di trovare modalità per comunicare la profondità e la portata di quello che si sta facendo sul nostro territorio. Non è facile raccontare ciò che veramente fa crescere e generare progetti, anche grandi. Non è il progetto o l’azione stessa, bensì quel desiderio di comunità cercato con passione. Resta ancora difficile, in questa direzione, anche il coinvolgimento reale del pubblico, degli ambiti territoriali e delle istituzioni. Molti passi sono stati fatti anche con alcune azioni significative di progettazione condivisa, ma tanto c’è ancora da fare per un reale processo di co-progettazione pubblico-privato sociale. È un percorso complesso, in cui spesso si fanno passi avanti e passi indietro ma siamo fiduciosi. E poi esistono difficoltà di tenuta economica: per quanto la rete si prodighi e continuamente generi risorse, sarebbe bello e importante che il lavoro messo in campo possa diventare magari nel tempo più strutturale, anche nella connessione con il pubblico, e non sempre e solo relegato a finanziamenti temporanei».

C’è una storia che, secondo Giovanni Vergani, più di ogni altra racconta la trasformazione che il progetto ha generato ed è quella legata al momento più duro della pandemia: «nel 2020 molte organizzazioni nella città di Monza, proprio a partire dalle loro collaborazioni nella rete Tikitaka e attirandone di nuove, hanno dato vita al progetto “Una via per l’estate”, collaborando su protocolli, azioni, luoghi e attività per dare una risposta a bambini e ragazzi in un tempo molto delicato. Abbiamo attivato numerosi campi estivi anche incoraggiando gli oratori cittadini all’apertura. Durante quell’estate, oltre ai tanti minori e ragazzi che hanno beneficiato di questa esperienza, anche grazie a quote calmierate, sono stati coinvolti oltre 100 bambini e ragazzi con disabilità. Un’azione importante ed entusiasmante che ha poi generato nella Rete TikiTaka quello che abbiamo chiamato “Una via per la città”, un’azione vera di comunità e di relazioni in cui si può scoprire che davvero solo insieme è possibile affrontare anche le sfide più grandi. Una via per la città a Monza è una co-progettazione con l’Amministrazione pubblica passata in delibera di giunta nel febbraio del 2021, ed è stata avviata anche in altri 11 comuni della provincia». Cinque anni dopo la nascita di TikiTaka restano numeri importanti, 12.039 cittadini raggiunti, 515 persone prese in carico, 450 volontari formati e restano «i grandi progetti, alcuni avviati, alcuni in fase di realizzazione, per gestire come rete alcuni luoghi pubblici delle nostre città per rigenerarli e restituirli alla comunità tutta. La costruzione davvero di un welfare di comunità, di una politica sociale per tutti, la consapevolezza che mettere al centro il valore di ogni persona è davvero possibile, sognare e credere in un futuro migliore, anche solo nel nostro piccolo».

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Un piccolo che è in realtà molto grande, come dimostra, nel suo piccolo-grande, la storia di Anna. Prima di chiudere l’intervista con lei, le chiediamo se c’è qualcosa che non ci ha detto e che voleva raccontarci: «Sì, a Casa Stefania, non ho trovato solo degli amici tra i coinquilini, ma anche un fidanzato. Giovanni l’ho adocchiato subito, ma ci è voluto un po’ prima che si accorgesse di me, però ce l’ho fatta. A giugno sarà un anno che stiamo insieme. Ora ho davvero tutto dalla vita».

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