La fragilità? Una risorsa preziosa

La Salute Mentale di comunità nel progetto aMIcittà

Data di pubblicazione: 10 Ottobre Ott 2022 1001 10 ottobre 2022

Nelle oltre sessanta pagine del Quaderno di aMIcittà «che ci stanno chiedendo per utilizzarlo in altri progetti i tutta Italia» come spiega Davide Motto, che è stato il responsabile del progetto, non è contenuto solo un metodo di lavoro, ma anche l’esperienza concreta di un nuovo approccio alla salute mentale che aMIcittà ha sperimentato. Un approccio che promuove la recovery e il protagonismo delle persone fruitori dei servizi psichiatrici, un cambio di paradigma da una pratica orientata al solo trattamento a una in grado di coinvolgere amici, famigliari, e l’intera comunità

Siamo ancora all’inizio di un cammino, le resistenze sono ancora molte. Però che le cose stiano cambiando lo testimoniano i temi al centro del Global Health Mental Summit che si terrà a Roma il 13 e 14 ottobre, ovvero: la centralità dell’approccio comunitario alla salute mentale e il coinvolgimento dei diretti interessati e delle loro famiglie nel processo di cura e recupero psicosociale

Davide Motto, responsabile aMicittà

Proprio quelli che aMicittà, progetto sostenuto nella quarta edizione del Programma Welfare di Comunità di Fondazione Cariplo, ha messo in pratica nei 3 anni e mezzo del suo percorso. E c’è un’altra cosa: uno dei relatori del Global Health Summit sarà Paolo Macchia, 59 anni, ex utente dei servizi psichiatrici che ha collaborato con aMIcittà fin dal primo momento.

Ma partiamo dall’inizio. aMIcittà, un partenariato che ha come capofila la cooperativa Lotta per l’Emarginazione, rivolto al bacino territoriale del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASST Grande Ospedale Metropolitano di Niguarda, nasce a Milano nel 2018. L’obiettivo è quello di promuovere lo sviluppo di una comunità accogliente e inclusiva, affiancando le persone con disagio psichico nel costruire il proprio progetto di vita e nel rappresentare una risorsa per gli altri. Il progetto aMIcittà vuole rispondere alla difficoltà di raggiungere l'insieme delle persone con disagio mentale, “intrappolate” all’interno dei servizi, alla situazione di frammentazione degli interventi che costringevano le persone e famiglie a farsi carico anche dei rapporti tra istituzioni, limitandosi a "assistere e curare" senza occuparsi delle prospettive di vita ed esistenziali. «L’obiettivo duplice del progetto era l’aumento del benessere della persona e la riduzione della spesa sanitaria (riduzione dei ricoveri) e un maggior investimento sulla spesa sociale e di inclusione» spiega Motto.

Lo strumento che viene individuato sono i “Budget di salute di comunità”, percorsi individualizzati e coprogettati per ogni utente per aiutare le persone con disagio psichico a realizzare il proprio progetto di vita nella comunità locale in cui abitano. In grado di mettere insieme la dimensione dell’housing, la formazione, l’inserimento lavorativo e l’inclusione sociale (ne abbiamo parlato in questo articolo): «l’idea di partenza era quella di ripensare alla risposta dei problemi di salute mentale da un approccio, passatemi il termine, più “paternalistico” tradizionale dei servizi, a uno più alla pari, in cui le persone non siano più solo affiancate ma che possano decidere del proprio percorso di vita e che siano realmente trasformate in una risorsa. Ma la costruzione di un percorso di guarigione non può prescindere dal territorio, dai legami sociali, dalla opportunità offerte dalla comunità. Volevamo un progetto interconnesso con il territorio e non un’isola come a volte succede nei servizi mentali, anche perché non si può non ragionare insieme al territorio per proporre alla persona soluzioni abitative o di lavoro». Continua Motto: «I primi mesi sono stati dedicati alla progettazione, alla formazione del gruppo metodologico per costruire i Budget e alla elaborazione del quaderno, che ha rappresentato un metodo di lavoro per tutto il tempo e che veniva regolarmente aggiornato dall’utente e dall’équipe che lavorava con lui.

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La prima fase è stata anche quella in cui abbiamo costruito i contatti con realtà del territorio, anche se il lavoro più significativo con la comunità è arrivato dopo che abbiamo conosciuto le persone, perché abbiamo cercato le realtà giuste partendo dai desideri della persona. In due parole: non potevamo offrire il laboratorio di cucina se il/la beneficiario/a avrebbe voluto iniziare a suonare la chitarra

aMIcittà ha quindi composto una microéquipe che comprendeva, oltre agli operatori dei servizi, gli Esp (Esperti in Supporto tra Pari, persone che hanno elaborato un proprio vissuto di difficoltà psicologiche personali come utente psichiatrico e che ora mettono a disposizione le proprie esperienze di vita) e le reti naturali, rappresentate da «persone che abbiamo individuato e contattato ovviamente parlando con il beneficiario, amici, vicini di casa, colleghi che hanno collaborato in un percorso di recovery condiviso tra utente, operatore, servizi. A partire dalla esplorazione della rete il programma reti sociali naturali ha permesso di attivare 14 facilitatori» (lo abbiamo raccontato qui).

Tre anni e mezzo (e una pandemia) dopo, i cambiamenti sono stati tanti: «I cambiamenti si sono osservati su 3 livelli: è aumentano il benessere delle persone coinvolte nei budget di salute; è diminuita la spesa sanitaria (diminuzione dei ricoveri, vi è stato un maggior investimento sulla spesa sociale e di inclusione. Sono stati attivati 63 Budget di Salute di Comunità: 60 (95,2%) hanno previsto interventi sull’inclusione sociale (inserimento nei Centri Diurni dei Servizi; uscite individuali sul territorio ed accompagnamenti, gruppi risocializzanti sia in modalità online che in presenza negli spazi dei Servizi e sul territorio, uscite tematiche come visite a mostre, musei, luoghi di interesse pubblico; gite in provincia, una settimana di vacanza di gruppo); 35 (55,5%) di sostegno all’abitare; 37 (58,7%) sul lavoro; 20 (31,7%) sul piano economico. Rispetto ai dati di efficacia, il tasso di ricoveri nel periodo considerato tra i beneficiari del Progetto è stato del 8/67 = 11,9% contro il 22,7%1 (314/1380) dei pazienti del DSMD con percorso di cura “presa in carico” non coinvolti nel Progetto e scelti come gruppo di controllo.
Il 93,3% (42/45) dei beneficiari hanno migliorato la qualità della vita rispetto all'inizio del percorso in almeno una delle aree di intervento.

Oltre ai dati, che confermano il successo dell’esperienza, sottolinea Motto: «È successa una cosa da cui non si torna indietro per tutte le persone coinvolte, perché questo progetto ha lasciato il segno non solo ovviamente nei beneficiari, negli operatori del terzo settore, ma anche nel pubblico. La metodologia dei Budget di Salute è stata acquisita da ASST GOM NIGUARDA nel nuovo bando del Piano Urbano e che il Comune di Milano ha adottato la stessa metodologia nel progetto R2 - Recovery in rete, per attivare interventi di budget di salute di comunità sull’intero territorio del Comune di Milano. aMicittà è diventato un modello da esportare».

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Tra le innovazioni introdotte grazie al progetto, secondo Motto la più significativa è il Quaderno di aMIcittà: «è diventato un metodo di lavoro, in grado di monitorare il reale cambiamento, uno strumento che ha permesso di unire analisi, diagnosi e cura, di integrare strumenti prevalentemente sanitari con altri di autovalutazione e di analisi delle reti sociali naturali. Il Quaderno inoltre ha anche consentito di integrare gli approcci delle diverse professionalità coinvolte e di affrontare con un linguaggio olistico l’intervento con il beneficiario. Ci è servito molto anche nella prima fase perché nell’area del benessere della persona abbiamo visto che, anche se i beneficiari ci confermavano un reale miglioramento, avevano dato un punteggio basso proprio al benessere mentale. Ci siamo molto interrogati e, approfondendo, ci siamo accorti che

il budget di salute in una prima fase è molto faticoso per chi lo sperimenta. Perché deve uscire dalla propria zona di comfort, crea fatica e molte aspettative. Il fatto di avere schede specifiche su ogni aspetto ci ha permesso di monitorare costantemente tutto il cambiamento e di intervenire nel momento giusto

E tre anni dopo anche quella che era un’ipotesi è diventata una certezza: il ruolo fondamentale degli ESP nei processi di cura: «ci credevamo molto ma non sapevamo quanto potevano essere efficaci finché non abbiamo sperimentato la loro collaborazione non solo nei gruppi, ma anche nella progettazione. E possiamo dire che hanno fatto la differenza. La presenza degli ESP e in alcuni casi dei beneficiari dei budget di salute (ad esempio all’interno delle micro-equipe) ha cambiato il livello della discussione che si è orientata agli aspetti concreti e alla centralità del beneficiario. Possiamo tranquillamente dire che senza questa presenza all’interno degli spazi dedicati alla governance il progetto nel suo complesso sarebbe stato significativamente differente».

Me se il coinvolgimento di ESP e Facilitatori Naturali era previsto, non lo era l’azione sulle scuole: «Invece è stata una tappa importante che è emersa lavorando con la comunità. Prima della pandemia abbiamo avviato una serie di laboratori in 14 classi dell’ISS Russel di Milano in cui gli educatori e gli ESP parlavano di salute mentale raccontando la loro storia. Abbiamo ragionato insieme ai ragazzi che hanno elaborato modelli per individuare quelli che, in base alla loro esperienza, ritenevano fattori di protezione, come gli amici e la musica, e di rischio, come la pressione scolastica, il timore di essere presi in giro sui social. I ragazzi hanno reagito molto bene e si sono sentiti legittimati a condividere i loro momenti di fragilità. Tutto questo succedeva prima della pandemia. Con la pandemia, il disagio è esploso e la coordinatrice del PCTO che ci aveva seguiti fin dall’inizio del progetto per capire se potevamo riproporre l’esperienza della prima annualità ma quello che è emerso immediatamente è stato un grido di aiuto, lei ci ha detto “i ragazzi stanno malissimo, che cosa potete fare per noi? Abbiamo capito che non sarebbe bastato il modello della prima esperienza ed è nato un percorso di co-progettazione della versione “young” del percorso “Trova la via.. oltre la Pandemia” che avevamo già sperimentato con gli adulti, un percorso esperienziale rivolto alla cittadinanza sui disturbi derivanti dal lockdown, con l’obiettivo di sensibilizzare sul tema della salute mentale e per la prima volta le scuole sono entrate nei servizi (il racconto in questo articolo).

La buona notizia è che nelle regole di sistema di Regione Lombardia per il 2022 è stato inserito il Budget di Salute: «questo è davvero un risultato importante, il “modello budget di salute” è stato inserito a pieno titolo nel sistema generale. C’è ancora tanta strada da fare però, il mio auspicio è quello di un riconoscimento professionale dell’ESP per restituire un ruolo sociale attivo a persone che hanno avuto un passato di emarginazione, esclusione e stigma». Come Paolo Macchia, a cui nel 2002 è stato diagnosticato un “Disturbo antisociale di personalità e Depressione Maggiore”.

Vent’anni dopo, e un contributo importantissimo al progetto aMIcittà come ESP, è un relatore del Global Mental Health Forum 2022: «nel mio intervento non racconterò l’ennesima storia triste, ma la utilizzerò per fare molti ragionamenti. I tempi stanno un po’ maturando, infatti solo pochi anni fa un ESP non sarebbe mai stato invitato a un convegno così importante, ma c’è ancora molta diffidenza da parte degli operatori sanitari. Sbagliando si pensa che l’ESP voglia fare il lavoro di un altro, invece non c’è nessuna sovrapposizione. Qualcuno lo ha già capito, sarò sempre grato allo psichiatra che ha avuto il coraggio di firmare una liberatoria per consentirmi di incontrare il beneficiario che seguivo quando l’Italia era in zona rossa».

Foto Paolo Macchia