Il naufragio del 14 giugno del peschereccio di migranti al largo del Peloponneso è solo l’ultimo dei terribili eventi che ancora una volta accende un faro sull’urgenza della gestione dell’accoglienza. Ed è proprio con l’obiettivo di migliorare il modello locale di accoglienza che nel 2019 nasce nel lodigiano Mano a Mano, un progetto sostenuto dalla quarta edizione del programma Welfare di Comunità di Fondazione Cariplo. L’aspirazione è quella di coinvolgere i principali soggetti presenti nel territorio, in primis la Prefettura, nella costruzione di un modello di accoglienza delle persone richiedenti protezione internazionale, e di provare a dare risposte organiche a un fenomeno strutturale ma che fino ad allora era sempre stato gestito sull’emergenza. Mano a Mano nasce inoltre per favorire il percorso di integrazione per i migranti che avevano già ottenuto una forma di protezione e desideravano rimanere nel territorio.
Mano a mano (una rete di soggetti con capofila Famiglia Nuova Società Cooperativa Sociale ONLUS e che ha come partner l’Ufficio di Piano) si sviluppa in 12 dei 60 Comuni della Provincia di Lodi. Nella sfida di promuovere lo sviluppo e l’affermazione di forme partecipate e comunitarie di gestione del fenomeno migratorio per favorire la diffusione di un modello di accoglienza capillare, il progetto incontra nel tempo, come raccontano i responsabili: “diverse difficoltà a coinvolgere le amministrazioni locali sugli obiettivi, anche in conseguenza degli avvicendamenti politici e tecnici dell'Ufficio di Piano, partner di progetto e soggetto centrale di governance delle politiche sociali”. Ma, quattro anni dopo e nonostante le difficoltà, sul piano della governance locale dell’accoglienza ottiene anche due risultati importanti: “il tavolo operatori dell’accoglienza a fine progetto è stato inglobato nel tavolo territoriale dell’Ufficio di Piano. Inoltre il Piano di Zona si è impegnato ad assumere alcuni degli elementi più significativi del progetto: il tavolo inter-istituzionale immigrazione, la metodologia dei progetti individualizzati e più in generale l’idea di lavorare in ottica di welfare di comunità anche rispetto al tema migratorio”.
Le reti e i rapporti tra enti e persone che a vario titolo si occupano di integrazione durante i quattro anni di progetto ha permesso anche la realizzazione di oltre trenta progetti individualizzati di integrazione. Tra le varie azioni pensate e realizzate da Mano a Mano ci sono infatti i “Percorsi verso l’autonomia”, dedicati alle persone che erano già state accolte in strutture di accoglienza e titolari di forme di protezione (n.d.r. ne abbiamo parlato in questo articolo). Percorsi che, come spiega Ciro Vajro, responsabile del progetto, avevano sempre l’obiettivo di coinvolgere anche il territorio nell’ideazione, progettazione e realizzazione delle attività: «Il modello ha funzionato così: quando arrivava una segnalazione da un centro accoglienza che ci avvisava che stavano dimettendo una persona, noi ci mettevamo intorno al tavolo con gli enti e i cittadini che avevano avuto un ruolo nel suo percorso fino a quel momento (per esempio i datori di lavoro se questa persona stava facendo un tirocinio) e ovviamente con la persona stessa, per capire di che cosa aveva bisogno e insieme individuavamo gli obiettivi per scrivere un progetto individualizzato. Il nostro sostegno è stato di tanti tipi, dal contributo per la casa, o per corsi formazione, asili nido, per la patente, ma anche per attività di socializzazione».
Rispetto alla costruzione dei percorsi di inclusione dei beneficiari, il progetto è riuscito a realizzare solo in parte quella che era l’aspirazione iniziale ovvero quella di creare un modello sistemico: «la sfida più grande e stata quella di superare un approccio legato ai singoli casi e quindi in qualche modo episodico, permettendo alle sperimentazioni di entrare nel sistema e rimanere anche a beneficio di altri destinatari. Si tratta di un risultato che è stato raggiunto solo in parte: ciò che rimane è l’apprendimento di operatori e organizzazioni rispetto al processo e i risultati sulle trenta persone che hanno sperimentato forme di inclusione abitativa, lavorativa e sociale più in generale». Come Zenati Zied che ha svolto un tirocinio d’inclusione sociale presso l’autolavaggio Golden Wash di Lodi dove ha imparato a relazionarsi con la clientela italiana, ad occuparsi della pulizia degli automezzi e a fine tirocinio la società gli ha proposto un contratto di lavoro: «È stata una grande opportunità perché Zied al compimento della maggiore età ha dovuto lasciare la comunità di accoglienza ed era necessario che raggiungesse una stabilità lavorativa per prendersi cura di sè e pemettersi la copertura delle spese di un nuovo alloggio». O come Seydou T. «che ha usufruito del contributo legato all’area dell’autonomia e inserimento sociale e in circa otto mesi ha acquisito la patente di guida B, traguardo importante per essere maggiormente spendibile nel mondo del lavoro e spostarsi agevolmente sul territorio. Il lavoro in rete ha consentito di supportare Seydou nel tirocinio d’inclusione sociale avviato in precedenza con la cooperativa Eureka! presso la pasticceria Lombarda. Questa esperienza ha permesso a Seydou di mettere in gioco ed affinare le sue abilità e arrivare all’avvio di un contratto di lavoro a tempo indeterminato».
Un altro asse importante su cui ha lavorato Mano a Mano sono state le azioni di sensibilizzazione, promozione della partecipazione e dell’incontro interculturale. A questo scopo, come raccontano i responsabili del progetto: «sono stati realizzati eventi di coinvolgimento della comunità incentrati sull’integrazione delle persone straniere e si sono smossi processi partecipativi intorno al recupero di beni comuni in piccoli comuni, alcuni dei quali tipicamente “assopiti” dal punto di vista sociale e civico e nei quali l’immigrazione e l’accoglienza non sempre trovano una ricezione positiva».
Un esempio è il Comune di Corte Palasio, poco distante da Abbadia Cerreto: «è un comune di circa 1.500 abitanti, in cui vi è una presenza consolidata di persone migranti e di bambini e ragazzi di seconda generazione. La scuola e il grest hanno un ruolo centrale rispetto alla partecipazione di questi ultimi nella vita di comunità. Si può dire che le persone migranti, qui, sono piuttosto integrate. Insieme all'amministrazione comunale abbiamo deciso di lavorare sul territorio a stretto contatto con la scuola e con la Parrocchia, individuando nel parco del paese il luogo centrale di intervento. Dopo essere stati in classe per conoscere i bambini, abbiamo organizzato alcune merende al parco e instaurato le prime relazioni anche con gli adulti. Questo ha permesso di creare un rapporto di fiducia sul territorio. Successivamente è stata coinvolta la Parrocchia e, in particolare, grazie alla mediazione dell’amministrazione comunale, sono stati coinvolti bambini e ragazzi del grest. Abbiamo dialogato con loro e individuato una strategia di intervento condivisa per il parco. Abbiamo organizzato delle giornate di lavoro e siamo intervenuti nella sua riqualificazione. Sono stati coinvolti circa 80 bambini e ragazzi di cui il 15-20% hanno un trascorso familiare migratorio. Attraverso un processo di ingaggio e responsabilizzazione, bambini e ragazzi hanno dipinto insieme circa 80 metri di ringhiera che circonda il parco e le panchine presenti all’interno. Insieme a loro, poi, abbiamo costruito un gioco che ha come tematica principale l’ecologia, molto cara ai ragazzi, valorizzando la presenza di una vecchia fontana, che è diventata ‘Il pozzo dei desideri’. Questa azione costruita nel tempo ha consentito ai bambini e ragazzi di prendersi cura di un loro luogo, prima degradato e anche a tratti danneggiato da loro stessi. Ha consentito anche di mostrare agli ‘adulti’ come i più piccoli, se responsabilizzati, possono diventare una risorsa per il territorio stesso».
Il percorso con le scuole del territorio ha permesso di sensibilizzare e diffondere i principi del progetto «siamo riusciti a raggiungere più di 30 classi, coinvolgendo più di 60 insegnanti e più di 500 ragazzi e bambini, favorendo lo sviluppo del pensiero in una forma di governance comunitaria dell’immigrazione». Sono stati realizzati percorsi di PCTO, come quello con il Liceo Novello di Casalpusterlengo «in particolare con l’avvio del percorso di alternanza scuola lavoro con una classe terza del liceo scientifico come parte del percorso legato al Bene Comune», ma anche laboratori con i bambini delle scuole primarie e secondarie di primo grado, nei quali è stato proposto il gioco “Movimenti” per raccontare le storie di migrazione (n.d.r. lo abbiamo raccontato qui): «è stato lasciato in regalo a tutte le scuole che ci hanno ospitato, dando la possibilità di poter essere riutilizzato in altre classi o di poter essere rigiocato». Un gioco che è diventato uno strumento didattico, come testimonia Elisa Bergonzoni, maestra dell’Istituto Maleo: «la migliore risorsa che io abbia mai utilizzato. Pensiamo anche di ampliarlo, perché purtroppo le storie non mancano».